A Caselle, ieri, 8 dicembre è stato un giorno che profuma di ritorno. Le porte del nuovo Museo del Tessile, inaugurato nella palestra della ex scuola Collodi, non si sono aperte soltanto su una collezione: si sono aperte su un passato che la città aspettava di poter riconoscere e custodire.
Qui, tra telai che hanno attraversato i secoli e macchine che hanno scandito la vita di generazioni intere, Caselle ha ritrovato il suo filo rosso.
Un filo che parla di lavoro, di ingegno, di dignità. Un filo che oggi si intreccia con un futuro inatteso.
Un dono che ha riacceso la memoria
Il museo nasce grazie al gesto generoso di Filiberto Martinetto, fondatore della Filmar, che ha donato alla città parte preziosa della sua collezione: telai del Settecento, reperti ottocenteschi, strumenti della prima industrializzazione, campionari unici, macchine che hanno segnato l’evoluzione della nastrineria casellese fino a farla diventare un riferimento europeo.
Il sindaco Giuseppe Marsaglia, durante l’inaugurazione, ha ricordato così l’importanza di questa donazione: «Questo museo non è solo un luogo: è un risarcimento alla nostra identità. Da anni Caselle sogna di raccontare la propria storia industriale, e oggi possiamo farlo grazie alla generosità di Martinetto, che ha trasformato un patrimonio personale in un patrimonio di tutti», ha dichiarato. «È il primo tassello di un progetto culturale più grande, che renderà Caselle una città capace di custodire il suo passato e attirare nuove energie».
Dentro al museo: dove i fili raccontano le vite
Il vero cuore dell’inaugurazione è stato però il contenuto del museo.
Qui non ci sono solo oggetti, ma tracce di una civiltà del lavoro che ha formato intere generazioni.
Tra gli elementi principali: telai del Settecento, perfettamente restaurati, mostrano il funzionamento delle prime tessiture manuali: leve di legno, trame lente, manufatti che nascevano un filo alla volta. Sono testimonianze rarissime, che rivelano quanto la nascita della nastrineria fosse già allora un’arte. Macchinari dell’Ottocento e il passaggio dalla manualità all’industria: ingranaggi, rulli, sistemi meccanici. Queste macchine, pesanti e maestose, raccontano la forza fisica e l’ingegno necessari per farle funzionare. La collezione dei campionari Filmar: nastro dopo nastro, colore dopo colore, si legge l’evoluzione estetica e tecnica di oltre mezzo secolo di produzione.
È la parte più emozionale del museo: molti visitatori hanno riconosciuto i modelli che vedevano in casa, quelli che portavano lo stipendio a fine mese.
Ma anche strumenti da banco e attrezzature artigiane. Pinze, fuselli, bobine, guide, manuali tecnici, utensili ormai scomparsi: piccoli oggetti che raccontano la quotidianità, più delle grandi macchine. Sono i veri custodi delle storie familiari.
La sorpresa del futuro: il cane robot
Ma Martinetto non ha voluto che questo museo fosse un santuario del passato. Ha voluto che fosse un ponte.
Per questo, durante la cerimonia, ha portato un cane robot, una tecnologia utilizzata nei settori avanzati dell’automazione. Il robot ha camminato tra i presenti, suscitando risate e stupore tra i bambini, ma anche tra gli adulti: un modo giocoso e immediato per ricordare che l’innovazione non è un concetto astratto, ma qualcosa che si può toccare, osservare, interrogare.
Una scelta simbolica, che Martinetto ha spiegato così: «Ho voluto portare un pezzo di futuro perché il tessile ci ricorda da dove veniamo, ma l’innovazione ci deve dire dove possiamo andare. Quel cane robot non c’entra con i telai, ma c’entra con i nostri giovani: con la loro curiosità, il loro coraggio e la loro capacità di immaginare ciò che ancora non esiste».
Una frase che ha messo in dialogo due mondi apparentemente lontani: la trazione a pedale dei telai antichi e i sensori digitali di un robot contemporaneo.
Un museo che è un ritorno a casa
Per molti casellesi, la visita è stata un viaggio intimo.
C’è chi ha riconosciuto la macchina su cui lavorava il padre, chi ha ritrovato il colore di un nastro che vedeva da bambino, chi ha rivisto gli strumenti che la nonna usava con gesti sicuri e silenziosi.
In quei macchinari non ci sono soltanto tecniche: ci sono vite, famiglie, identità.
Ed è questo il valore profondo del museo: restituire alla città ciò che la città stessa aveva creato, spesso senza rendersene conto.
Un inizio che apre possibilità
Il museo è piccolo, come tutti i luoghi nati dalla passione. Ma è destinato a crescere: amministrazione e donatore non si nascondono. Parlano di ampliamenti futuri, di nuove sezioni didattiche, di collaborazioni con le scuole, di un distretto culturale dedicato al lavoro e alla memoria.
Oggi, però, era il giorno della restituzione.
E la restituzione è avvenuta.
Caselle ha ritrovato il suo filo.
Un filo che parte dai telai del Settecento, passa tra le mani di chi ha costruito il Novecento, e oggi si intreccia con la curiosità dei bambini che guardano un cane robot muoversi tra loro.
Un filo che non smetterà più di legare passato e futuro.

