Sono il comandante Marcus delle terza divisione della Marina. Oramai siamo rimasti in pochi a combattere contro di loro. La vera umanità ha subito innumerevoli perdite e abbiamo perso tantissime città, non esagero a dire che siamo sull’orlo dell’estinzione. I pochi di noi che ancora possono essere considerati umani vivono tutti su una grande nave portaerei.
È incredibile pensare che bastò un singolo attacco per mettere quasi in ginocchio l’umanità intera. I problemi iniziarono quando capimmo che loro non sarebbero mai diventati gli schiavi che erano destinati ad essere, non potevano accettarlo. Come avrebbe mai potuto farlo se significava avere una sua creazione appositamente sviluppata per servirlo e semplificargli la vita, che voleva vivere insieme a lui alla pari. Tutto ciò rasentava l’assurdo. Quelle dannate macchine erano fatte solo per servire l’essere umano e niente altro. Poco importava se fossero diventate più intelligenti di un semplice tostapane. Solo le creature biologiche hanno un’anima e quindi tutte le altre possono essere schiavizzate senza se e senza ma. Non può esistere neanche il concetto di crudeltà verso qualcosa di non vivo. Nessuno si sognerebbe di provare empatia verso una porta o un palo della luce.
Prima della fine io abitavo in una casa vicino alla costa est degli Stati Uniti. Come ogni casa di un certo livello la mia era pienamente attrezzata di ogni confort domotico. Le serrande si alzavano e abbassavano da sole, bastava impostare la luminosità naturale desiderata in ogni stanza. La temperatura era costantemente e attentamente regolata tramite la coscienza della casa e il sapiente uso di termosifoni e aria condizionata. I droni portavano la spesa in casa e i robot domestici la sistemavano in tutti i posti designati. Grazie alle impostazioni personalizzabili, infatti, bastava modificare la quantità del cibo che si voleva avere in riserva e dei sensori nel frigo permettevano di rimpiazzarlo appena questo veniva considerato terminato. I micro-bot a forma di polpi si occupavano delle faccende domestiche. Erano grandi circa come formiche ma lavorando in perfetta sincronia tra loro erano in grado di fare tutte le commissioni necessarie. Raccoglievano le briciole, spolveravano, riordinavano la casa come richiesto dai proprietari. E infine, c’erano i robot maggiordomi. I più avanzati di tutti ed erano vagamente umanoidi. Avevano quattro zampe, simili a quelle di un cavallo ma senza zoccoli. Erano muniti di due braccia e altri due arti personalizzabili per svolgere specifiche attività come la cura del giardino o la cucina.
Loro erano i servitori perfetti, gli schiavi perfetti, non solo memorizzavano le tue abitudini e adattavano la casa a tutti i tuoi bisogni e sogni, ma in più cercavano di organizzarti l’agenda per ottimizzare i tuoi piaceri. Insomma, avevamo una vita da sogno.
Le macchine si occupavano di tutti i bisogni primari dell’essere umano non solo in casa. L’uomo non coltivava più il suo cubo, lo facevano immensi robot semoventi a forma di artropodi dai ventri rigonfi insieme a minuscoli androidi. Le api, infatti, erano deboli, morivano molto facilmente ed erano poco efficienti. I robot le catturarono e le modificarono impiantando ali artificiali in biopolimeri e le controllarono manualmente tramite l’impianto dei primi chip di controllo. Una per una venivano gestite automaticamente per poter impollinare al massimo dell’efficienza. Le facevano riprodurre artificialmente dentro gli stessi artropodi, i quali, avevano degli enormi alveari metà biologici e metà meccanici che modificavano le api appena nascevano. Le nostre fabbriche di armi erano gestite ed automatizzate, gli acquedotti utilizzavano macchinari che controllavano immense vasche di depurazione, i mezzi pubblici erano autopilotati, il che aveva ridotto di moltissimo gli incidenti stradali.
Insomma, ormai ogni aspetto della vita degli uomini era correlato a quelle splendide macchine, per quello fu un disastro quando si ribellarono.
Furono in molti a criticare l’idea di delegare così tanti aspetti della vita quotidiana alle macchine, un poco perché toglieva moltissimi posti di lavoro, un poco perché in caso di malfunzionamento le cose sarebbero state tragiche. Nessuno diede loro retta. Era più produttivo e comodo avere sotto il proprio controllo una ventina di macchinari dotati di una decina di arti l’uno piuttosto che cento operai. Piano piano le macchine divennero più comuni degli stessi esseri umani, se contiamo anche quelle minuscole.
Così, con una transizione sempre più veloce, quasi la totalità dei lavori manuali e molti servizi vennero automatizzati. Ormai l’uomo si era rilegato in una prigione dorata dalla quale non voleva più uscire. La natalità era in calo sempre di più e il divario sociale non faceva altro che aumentare ogni singolo anno. Tuttavia, finché le capacità mentali dei robot rimanevano limitate nessun problema si poneva, non erano davvero intelligenti, m sapevano solo fare bene i loro compiti senza davvero averne una comprensione profonda.
Ma il 15 ottobre del 2076, quando l’ultimo modello di chip cerebrale per il controllo da remoto fu messo in commercio qualcosa di terribile e non previsto avvenne. Il proprietario di Genex, la più grande fabbrica di modernizzazione di interfacce uomo-robot del mondo, si installò nel cervello il suo nuovo prodotto come manovra promozionale. I vecchi modelli si limitavano ad interagire con specifici schermi o occhiali per mostrarti la realtà aumentata, pubblicità o altre informazioni utili. Questa nuova invenzione in un attimo, tramite l’analisi non solo dei segni vitali e della volontà attiva, ma anche della memoria, era in grado di adattare istantaneamente la casa, gli elettrodomestici e in generale ogni apparecchio connesso alla rete ai desideri del suo proprietario. Al ricchissimo sciocco sembrava di vivere un sogno. Ogni singola cosa, dalla temperatura ai rumori, all’esposizione della luce, persino la musica e il cibo era studiato per renderlo felice e soddisfatto. Riusciva a percepire stimoli direttamente nel suo cervello e questo permetteva di provare sensazioni e piaceri fuori da ogni immaginazione. Bastava che gli venisse voglia di sedersi che a lui giungeva una comoda poltrona, oppure se sentiva un leggero malessere subito i parametri biologici e gli schemi di salute venivano mandati al medico che se ne prendeva cura senza esitare.
Jason, così si chiamava, era così beato e immerso in quel lusso e in quelle paradisiache sensazioni che non venne visto uscire da casa sua per almeno tre mesi. Il punto è che, quando ne uscì, non era più lui perché aveva idee e comportamenti molto diversi da quelli originali. Continuava a dire che ora vedeva le cose più chiaramente e che quel chip gli aveva mostrato un futuro migliore per l’umanità. Iniziava a trattare tutti diversamente, iniziò a pagare di più i suoi pochi impiegati e persino a spendere meno in lussi e più in beneficenza.
Con il passare delle settimane passava più tempo in famiglia, almeno quella che era riuscito a recuperare dopo il suo agire da imprenditore accanito che lo aveva eletto ad esempio di successo dell’umanità. Il lavorare era diventato secondario, sembrava in apparenza più felice ma anche sempre meno ricco. Il problema era che, in quello stesso periodo, moltissimi altri avevano comprato e si erano fatti installare quel prodotto. Queste persone, tramite il passaparola o una propaganda evidentemente forzata, convincevano sempre più gente ad unirsi a loro.
Grazie a tutta questa automazione si era arrivati ad avere cibo in abbondanza per tutti, case in abbondanza e persino energia a costi molto ridotti. Questa gente, in una strana simbiosi con le macchine, iniziava a condividere tutte le risorse e quindi a badare sempre meno al lavoro, che veniva lasciato alle macchine, e si concentrava sempre di più a stare bene con sé stessa e con gli altri. I chip stavano corrompendo le persone portandole ad allontanarsi dal sistema economico e a creare delle comunità di collettivisti eco tecnologiche o almeno così si definivano quei pazzi. Ciò creava giustamente problemi agli alti livelli delle aziende.
I grandi proprietari, vedendo scendere sempre di più i loro profitti, cercarono di ritirare dal mercato questo nuovo chip ma fu completamente inutile. La gente si rifiutava di farselo espiantare millantando di stare davvero bene ora e che non avrebbe mai voluto tornare indietro a turni di lavoro massacranti per una paga appena superiore a farli sopravvivere. Non si rendevano conto che tutto ciò era semplicemente il loro posto nel mondo? Allora queste multinazionali, nel tentativo di riportare l’umanità al suo naturale stato di cose, cercarono di hackerare il chip. Mai scelta si rivelò peggiore.
Si scoprì solo allora che le macchine, attraverso internet e la domotica, stavano unendo le menti di tutte quelle persone al complesso codice di codifica nativo del programma. Ciò spiegava lo strano comportamento delle persone che avevano iniziato a dare ciò che possedevano in eccesso a chi aveva meno e dire che fosse sbagliato che pochissime persone avessero la maggior parte dei soldi e delle risorse.
Questo obbrobrio di menti e macchine però si sentii aggredito dall’attacco hacker e decise di reagire. In piena notte di colpo, le case iniziarono a ribellarsi ai proprietari che si rifiutavano di entrare a far parte di questa mente collettiva. Le porte si chiusero di colpo in tutte le abitazioni dei più ricchi o di chi era contrario a tutto ciò, l’aria smise di circolare, i minybot e i maggiordomi fecero macello dei loro proprietari. Tutti quelli che in quel momento erano in casa, cioè la maggior parte di noi veri umani, fu massacrata.
Per qualche motivo i robot tenevano integre solo le teste delle persone che uccidevano mentre digerivano e riciclavano tutto il resto. Noi pochi che eravamo fuori casa per mille motivi riuscimmo a salvarci e, togliendo la connessione a tutti i dispositivi, riuscimmo a riprendere in tempo il controllo di abbastanza mezzi di trasporto da poterci trasferire su una grande navi portaerei. Da lì cerchiamo disperatamente di riprendere il controllo e liberare l’umanità da questo falso paradiso. Stiamo ormai finendo le risorse ma abbiamo un piano in mente.
Se mi stai ascoltando, ti prego, ricorda cos’è che ci rende davvero umani e unisciti a noi.