Sab, 2 Nov, 2024

Louis Laparà de Fieux, l’ingegnere militare francese che conquistò la fortezza di Verrua nel 1705

Louis Laparà de Fieux, l’ingegnere militare francese che conquistò la fortezza di Verrua nel 1705

La guerra di posizione nei conflitti del 1700: aneddoti e leggende nati durante e dopo la presa del forte

Chi transita attraverso il ponte del Po che unisce l’abitato di Crescentino, oggi in provincia di Vercelli, con la sponda torinese di Verrua Savoia, alzando lo sguardo verso la cupa cima che si staglia verso il rilievo collinare, dove inizia il Basso Monferrato Astigiano, può ancora scorgere i resti dell’antico “dongione”, ovvero l’ultimo baluardo difensivo di quella che fu secoli addietro una delle più importanti fortezze militari d’Europa, seconda a nessuna piazzaforte “alla moderna”, come allora si definivano le strutture militari, la cui costruzione in Savoia e in Piemonte iniziarono con le tecniche innovative dell’epoca, importate dalla Francia dagli ingegneri militari di Emanuele Filiberto Duca di Savoia, che già dal 1563 aveva spostato la capitale del ducato da Chambery a Torino, iniziando nello stesso periodo i lavori di ammodernamento alle già esistenti strutture della cittadella difensiva della città e non solo.

crescentino ponte sul po

Oggi non si può immaginare, per chi non ha studiato o solamente letto i resoconti dell’epoca su tale fatto bellico, l’immane tragedia che colpì la zona agli inizi del 1700, quando l’esercito francese al comando del maresciallo di Francia, Vendòme, attaccò il forte di Verrua, presidiato da circa 7.000 uomini tra piemontesi ed austriaci, collegato con un ponte di barche sul Po al paese trincerato di Crescentino presidiata dalla cavalleria piemontese, forte di altri 4.000 uomini, dove da un basso forte, posto alla base della fortezza, attraversando il forte di Ognissanti, una struttura difensiva in muratura posta al centro del grande corso d’acqua, ne presidiava sia le sponde che il percorso fluviale, che all’epoca per la mancanza di strade adeguate al passaggio delle artiglierie di assedio provenienti da Casale, rappresentava una vera e propria autostrada, fin verso la capitale Torino.

maresciallo vendome

Tempi difficili per il Duca Vittorio Amedeo II, che propio a Crescentino  aveva posto il suo quartier generale, per essere maggiormente d’aiuto alla piazzaforte sulla collina di Verrua: da poco, era stata firmata la pace di Torino del 1696, che poneva termine alla guerra della Lega di Augusta, manco a dirlo tra Francia e Piemonte, tra Vittorio Amedeo II ed il potentissimo Re di Francia Luigi XIV, tra  valorosi e capaci comandanti, quali il Principe Eugenio di Savoia, Feldmaresciallo del Sacro Romano Impero ed alleato del cugino, ed il Maresciallo Catinat.

vittorio amedeo II savoia

Battaglie disastrose per i nostri colori come Staffarda nel 1690 e Marsaglia, nei pressi di Volvera, nel 1693, vennero attenuate dalla presa ducale di Cuneo nel 1691 e la parziale invasione del Delfinato nel 1692, costringendo quindi il “Re Sole”, alla pace di Torino, poi ratificata nel 1697 a Ryswick in Olanda, ove veniva confermata la presenza piemontese nei domini pinerolesi, precedentemente persi ad opera degli stessi francesi.

L’assedio di Verrua è un fatto bellico avvenuto nel panorama della Guerra di Successione Spagnola (1701-1714), quando la stessa nazione iberica, alla morte del sovrano Carlo II, rimase orfana di un successore in linea diretta, quindi ecco scatenarsi la corsa al trono di tutti quei re e principi, che per tanti motivi, primi fra tutti i matrimoni che legavano le diverse Casate europee tra di loro, permettevano alle stesse, a vario titolo, di pretendere diritti di reggenza, il che significava guerra totale.

Una guerra quindi europea, di tanta portata e di tanta distruzione che venne combattuta anche in Piemonte, manco a dirlo, tra Francia e Piemonte, quando quest’ultimo, rompendo la precedente alleanza con i transalpini, passò tra le file asburgiche accanto all’Austria, tanto che il grosso delle truppe savoiarde fu disarmato da quelle francesi nel 1703 ,nel mantovano, disperso o costretto al soldo del Re di Francia, il quale preparò due contingenti militari da avviare in Piemonte ed occupare Torino, il primo agli ordini del Maresciallo De Feuillade attraverso la Savoia, il secondo al comando del Duca di Vendôme attraverso la Valle d’Aosta.

La cavalcata bellica del secondo contigente fu fulminea e devastante e le piazzaforti in mano ducale caddero una ad una. Attraverso le antiche strade romane che attraversando le vallate aostane avevano permesso alle legioni cesaree di giungere in Gallia,  Vendôme si impadronì del forte di Bard, di Ivrea, distruggendo l’antico ponte sulla Dora Baltea, manufatto di eccezionale importanza militare perchè ideato con apposite feritoie che controllavano il fiume sottostante, che spuntavano da una copertura in mattoni e pietre a difesa dell’unica via che permetteva di giungere alla Castiglia, ultimo baluardo difensivo posto sulle alture alla sinistra del castello dalle rossi torri, cadevano quindi anche Vercelli e Casale ed altri paesi minori, ma la strada per Torino era bloccata sulla via del Po, dall’estremo baluardo difensivo della rocca di Verrua, dove ad attendere le truppe francesi c’era l’elite del corpo d’armata sabaudo, comandato sul posto dalla “Volpe di Savoia”, il Duca Vittorio Amedeo II.

fortezza verrua savoia

Il presidio della fortezza era nelle mani del conte de La Roche d’Allery, mentre il maresciallo Staremberg fungeva da staffetta generale tra la stessa fortezza ed il campo trincerato di Crescentino, dal quale il Duca emanava le direttive da seguire.

Una delle tante leggende nate durante l’assedio, narra della perdita dei capelli e conseguente calvizia di Vittorio Amedeo II, tanta fu la pena ad assistere a tanta tragedia umana patita dai suoi soldati.

Le truppe di Vendôme provenienti da Casale fanno sosta nella piana di Montalero: gli uomini sono stanchi, molti di loro ammalati, alcuni feriti portano i segni delle cruente battaglie fin lì combattute, mancano anche i denari che non arrivano dalla Francia a compensare le milizie mercenarie che ogni esercito ha nelle sue file. Siamo agli inizi di ottobre del 1704, le pioggie iniziano a scendere copiose, le carretere sono trasmormate in breve in melma fetida dove si miscelano escrementi animali, fanghiglie di tufo, dove tutto sprofonda, compresi gli enormi buoi, rubati ai contadini dei luoghi, che trainano i pesanti obici e mortai fin sulle alture che contornano Verrua, per battere dall’alto le mura .

In quell’epoca mancava quasi totalmente il supporto logistico ai militari, quindi al seguito di ogni esercito si aggiungevano ogni sorta di individuo che, con la scusa di procurar l’adeguata sussistenza ai militari, perpetravano sulla popolazione civile ogni forma di barbarie: uccisioni, stupri, violenze di ogni genere, ruberie, atti sacrileghi senza ripetto alcuno per i luoghi di culto, malefatte di ogni sorta con protagonisti delinquenti comuni, prostitute, ex detenuti che le sordide regole di ingaggio dell’epoca permettevano. Tale codazzo era rappresentato da centinaia di individui, capaci di qualsiasi nefandezza.

In molti archivi delle chiese parrocchiali di allora si possono ancora trovare oggi le lettere che disperati parroci vergavano all’indirizzo sia dei comandi militari amici che invasori, per denunciare i disatri provocati sui civili delle zone del Monferrato da codesta teppaglia. Un girone infernale dove uomini e bestie erano costretti a drammatici sacrifici su un terreno normalmente inusuale alle guerre combattute all’epoca.

rievocazione storica assedio verrua

Sì, perchè il tanto agognato “quartiere d’inverno”, la tregua che da secoli ogni esercito si impone nel momento in cui, a causa del maltempo, vengono sospesi tutti i movimenti di truppa e di conseguenza le operazione militari sul territorio, per la fortezza di Verrua non vale. Non vale per Vendôme che scalpita per entrare nella storia dei grandi marescialli di Francia. Non vale per i mercenari e la truppa desiderosi di saccheggio e di facile bottino. Non vale infine per Luigi XIV che ordina la presa di Verrua per avere via libera verso Torino pensando che tutto si possa risolvere in una manciata di giorni:  la resa del contingente sabaudo asserragliato tra le possenti mura di Verrua, avverrà dopo quasi sei mesi di inenarrabili tragedie umane che solo chi ha vissuto l’assedio può raccontare.

cardinale alberoni

Per dare una idea dellle terribili condizioni climatiche in cui fu deciso, contro ogni regola militare fin qui applicata di continuare l’assedio a partire dalle prime scaramucce avvenute nei trinceramenti di Garbignano, avamposti difensivi ducali abbandonati dopo un paio di settimane sotto pesanti attacchi e per il protrarsi del maltempo che condizionava la difesa in quanto pioggia, gelo e nebbia aggiunta a neve avvolgevano totalmente le colline in cui si combatteva, basta leggere una frase del cardinale Alberoni, allora giovane prete e diplomatico autorizzato dalla Chiesa di Roma a seguire gli spostamenti delle truppe francesi come interprete, che nel suo diario scrisse «diluvi d’acqua allagarono gli accampamenti ed i ripari, tanto che il campo appariva come l’Arca di Noè natante sopra onde di fango».

Inoltre il piano d’attacco preparato dagli ingegneri francesi, prevedeva l’approccio dalle alture delle colline circostanti, alcune delle quali venivano ribassate e spianate, come il monte Piola, per permettere il posizionamento delle batterie di cannoni, che battevano costantemente la fortezza, arrecando danni rilevanti, ma non tali da indurre ad una capitolazione in breve degli assediati.

Alla fine del conflitto il 9 aprile 1705, si calcola furono esplosi circa 250.000 proiettili sparati da obici, cannoni e mortai francesi verso la fortezza. Le vittime stimate tra i francesi variano da 9.000 a 11.000 tra morti e dispersi, mentre le perdite ducali ed austriache a difesa del campo trincerato di Crescentino, il forte di Ognissanti sul Po e la stessa roccaforte di Verrua, ammonteranno a circa 3.500.

La decisione di attaccare la fortezza dai colli invece di dare priorità a tagliare il cordone ombelicale sul Po che univa Verrua a Crescentino è tra le cause principale del protrarsi l’assedio.

conte laparà de fieux

Solamente nel marzo del 1705, dopo quasi 5 mesi di inutili attacchi, il ministro francese Chamillart invia sul campo di battaglia il secondo miglior ingegnere militare francese dell’epoca, ossia il conte Louis Laparà de Fieux: 52 anni, più della metà trascorsi sui campi di battaglia. Laparà giunge a Casale con otto servitori ed una guardia armata e due lavandai ,i bagagli e gli strumeni di misurazione caricati su otto muli e tre cavalli ,una guida che gli viene procurata dal Duca di Mantova per giungere a Verrua. Sbaglierà strada facendo finire il piccolo convoglio in territorio nemico,attaccato e depredato di tutto il bagaglio.

Arriva sul luogo dell’assedio, una fredda mattina di marzo ,il tempo di presentarsi ai comandanti intenti a far scavare le parallele d’attacco, ed è già subito in ricognizione solitaria sotto i tavoloni che ricoprono le trincee a ridosso della terra di nessuno: valuta la distanza delle opere di assedio, tasta il terreno per capirne la solidità, onde effettuare scavi di contromina per intercetterae i fornelli scavati dai ducali sotto la campagna, prima che possano esplodere, comprende che attaccare dalle colline la fortezza è stato uno sbaglio grossolano ed al ritorno rimprovera bruscamente i responsabili del piano d’approccio alla fortezza. Si farà molti nemici a causa della sua franchezza.

Dispone immediatamente che reparti armati vengano posizionati verso il paese di Gabbiano per costruire un ponte di barche nell’intento di far transitare parte delle riserve in attesa sulla sponda sinistra del Po, giungendo da Casale. Quindi, prepara il piano che sarà fatale per la piazzaforte ducale .

Infatti il 1 marzo 1705, la ridotta al centro del fiume ed il bassoforte vengono investiti da un furioso quanto repentino attacco notturno di alcuni reggimenti francesi che,  percorso in totale silenzio il greto del fiume, fin sotto le mura delle difese fluviali ,dopo violenti combattimenti corpo a corpo, riescono ad impadronirsi dei siti difensivi ducali.

Nonostante ripetuti contrattacchi dei piemontesi, in particolare del Reggimento alleato Wallis, le ridotte e le caponiere difensive non furono più riconquistate, la linea di comunicazione tra la fortezza e Crescentino interrotta, cosa questa che indusse le forze presenti al campo trincerato al comando di Vittorio AmedeoII, a lasciare dopo pochi giorni l’abitato e trasferire le rimanenti forze sulla linea difensiva Chivasso-Castagneto, ultimo baluardo a difesa della via verso la capitale Torino. Alla resa di Verrua, le forze di Vendôme riusciranno in pochi giorni a tagliare anche questa linea di resistenza per poi congiungersi con l'armata di De Feuillade, in attesa di rinforzi per attaccare la cittadella di Torino,  che, però, venne rimandata l’anno dopo a causa di dissidi interni ai comandi generali transalpini ed in parte anche alle condizioni di una truppa stremata e decimata.

Questa pausa servì al Principe Eugenio - che mosso il suo esercito già alcuni mesi prima in soccorso del cugino sabaudo - per arrivare in tempo a salvare Torino ai primi di settenbre del 1706.

Laparà de Fieux, presa Verrua, verrà trasferito su altri importanti campi di battaglia di questa Guerra di Successione Spagnola che terminerà solamente nel 1713 con il trattato di Utrech nel quale viene ridefinita in gran parte la carta geografica delle grandi potenze europee e vedrà il Piemonte acquisire la corona di Sicilia e diventare quindi un Regno. Nel 1720, dopo attriti e pressione da parte inglese che pretendeva che l’isola della Trinacria ritornasse al dominio asburgico di Spagna, la stessa venne scambiata con la Sardegna. Colui il quale, con la sua vasta eseprienza militare, il solo uomo che per le sue straordinarie capacità, secondo solo al grande maestro dell’ingegneria della fortificazione europea, Vauban, era riuscito ad espugnare Verrua, sarà trasferito esattamente un anno dopo ad ispezionare la fortezza del Mont-Jouy a Barcellona, la capitale della Catalogna assediata dai francesi. Impavido nell’affrontare i rischi di una ricognizione notturna sotto le opere di difesa spagnole, che dal 1697 erano state largamente migliorate, si espose troppo dal parapetto dal quale osservava il terreno al di sotto del muro di controscarpa e fu raggiunto da una palla di moschetto, secondo alcuni sparato però da un fucile da ramparo,che per la sua potenza era di solito incatenato ad un pesante occhiello di ferro piantato sulla feritoia da cui spuntava la temibile canna, che poteva sparare a lunga distanza una palla di piombo sferica, più grande e pesante del solito.

Laparà venne colpito al di sopra della coscia sinistra all’altezza dell’inguine che gli venne trapassato dal proiettile. Il poveretto fu trascinato dentro la trincea amica e subito assistito dai cerusici miltari, ma nessun chirurgo riuscì a rimediare alla devastante ferita che il conte aveva subito: morì poche ore dopo tra indicibili sofferenze, solamente assistito da un lume che nella buia notte iberica, con una fioca luce testimoniava la morte di questo soldato di Francia.

Era una fredda notte del 15 aprile 1706. Il suo sogno di pianificare l’assedio di Torino alcuni mesi dopo svanì in una tenda da campo, triste sudario di molti soldati, come lui inghiottiti da un tragico destino.

 

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