Con questo nome viene comunemente definito il trasponder identificativo che viene inoculato nei nostri animali. È migliore rispetto, ad esempio, al vecchio e poco pratico tatuaggio che veniva fatto fino ad una ventina di anni or sono.
Si tratta di un minuscolo dispositivo della dimensione di pochi millimetri che viene iniettato sotto pelle tramite un’iniezione, nella regione del collo. Non sono necessari tagli o altro, e l’operazione dura pochi secondi. Nel microchip è inserito un codice identificativo numerico, univoco, e può essere letto con un apposito macchinario simile ad un telecomando. Il codice viene poi registrato dal veterinario sul sito dell’anagrafe canina, insieme ai dati del proprietario, ed il gioco è fatto.
Ricordiamo però che il microchip non è un rilevatore gps, quindi non è possibile trovare il cane o il gatto a distanza. Deve sempre essere letto.
Nel cane l’identificazione tramite microchip è obbligatoria, pena sanzioni pecuniarie, ed è effettuata dai veterinari autorizzati privati o pubblici.
Nel gatto non è ancora obbligatorio ma potrebbe diventarlo, visto che alcune regioni, Lombardia e Puglia in primis, hanno reso obbligatoria l’inoculazione del chip già a partire dal 2020. Lo è, tuttavia, se bisogna richiedere il passaporto europeo che è necessario per portare il gatto all’estero.
Si tratta di un piccolo gesto ma che in molti casi si è rilevato prezioso. Pensate a quanti animali si smarriscono ogni giorno: il microchip aiuta a ritrovarne molti.