Gio, 18 Apr, 2024

Felice Cavallotti, lo spadaccino dei poveri. Quando la sinistra combatteva le lotte proletarie sfidando a duello i conservatori

 Felice Cavallotti, lo spadaccino dei poveri. Quando la sinistra combatteva le lotte proletarie sfidando a duello i conservatori

In europa l'ultimo duello all'arma bianca tra politici si è svolto nel 1967

Il suo nome in Italia è dai più dimenticato, forse perchè rappresenta il vero emblema della lotta proletaria contro la politica conservatrice storicamente rappresentata dalla destra legata al mondo clericale e militare,in una epoca dove  l’orgoglio ed il senso di appartenenza avevano ancora un senso logico in quanto basavano la loro esistenza su ideologie ispirate ad un concetto di socialismo che doveva garantire a tutte le fasce della popolazione una vita dignitosa .

Felice Cavallotti nasce a Milano nel 1842, quando la Lombardia era parte integrante dell’Impero Austriaco e nella capitale meneghina si affacciava a governatore un certo Ranieri, cognato di Re Carlo Alberto, la cui figlia Maria Adelaide sposera’ proprio quell’anno il Principe di Piemonte e futuro Re di Sardegna, Vittorio Emanuele.

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Quando in gioventù si avvicina alla politica, ha una certa simpatia per Cavour, gli piace il suo decisionismo, la ricerca spasmodica di alleanze, sia all’interno dello Stivale, sia all’estero presso Francia ed Inghilterra per fare in modo di appoggiare la causa dell’unità d’Italia, ma molto probabilmente ama in Camillo Benso la sua avversione alla Chiesa, al suo modo di condurre una politica di immobilismo strategico economico, lasciando in balia gran parte della popolazione dello Stato Pontificio, di ataviche suggestioni religiose, credenze e ricatti basati su una fede cattolica che nulla ha di moderno, ma molto di antico, compreso il suo esecutore di giustizia, Mastro Titta, boia e carnefice del tribunale di San Pietro.

Per la sua natura esuberante e schietto, abbraccia l’avventura quando decide di unirsi alle forze garibaldine nella seconda meta’ del periodo della spedizione nel Mezzogiorno, seguendo Garibaldi e le sue idee: anche Mazzini piace al giovane Felice, ma come molti italiani, guarda all’eroe dei due Mondi come il vero emblema e guida militare e sociale dell’Italia che sta per compiersi. Si allontanerà quindi sempre di più dalle idee di Mazzini che considera ambigue e poco realizzabili, anche per il suo modo di cospirare di nascosto, alla moda dei carbonari, senza affrontare di petto il nemico come invece fa Garibaldi.

A 18 anni combatte quindi nel 1860 nel Sud, per poi ripresentarsi in camicia rossa nel 1866 in Valtellina e Trentino nel contesto della Terza Guerra di Indipendenza, dove le battaglie perse dal regio Esercito Italiano a Custoza e Lissa fanno temere il peggio per non arrivare ad assicurarsi il Veneto, che verrà a fine guerra ceduto dall’Austria al nostro all’alleato prussiano, il vero vincitore, e da qui, all’Italia. Vale la pena descrivere che in quella campagna militare le uniche vittorie italiane arrivarono proprio da Garibaldi e il giovane Cavallotti si distinse nella battaglia di Vezza d’Oglio.

L’anno dopo, 1867, a fianco di Garibaldi partecipa alla battaglia di Mentana, una delle poche sconfitte subite dai garibaldini ad opera delle truppe francesi, custodi militari delle Sacre Mura papali, che sancisce il fallito tentativo di insurrezione all’interno dei territori papalini. In questo periodo viene a galla nella sua totale forma, anche volgare nei toni e nei modi, il feroce anticlericalismo di Felice Cavallotti, che vede ormai nel papato e nella stessa Chiesa cattolica il nemico numero uno da abbattere per poter definire una penisola unita e moderna nelle idee e nella forma, lontane dal ricatto religioso che approfittava della povertà e dell’ignoranza di gran parte di quella popolazione agricola, sottoposta al ricatto della fede.

Non e’ quindi un caso che il Cavallotti, nel momento in cui muore nelle sacre stanze Papa Pio IX, durante il corteo funebre del 13 luglio 1878, è tra coloro che al grido “al fiume il Papa Porco”, cerca di dare volentieri una mano ai manifestanti per scaraventare la bara del Santo Padre nel fiume caro ai romani e solo un vero miracolo impedì che una parte della popolazione facesse scempio del corpo del defunto Papa.

Libertino ed umorale, relazionò per la stampa le azioni militari di Garibaldi, avendo come compagno di penna e maestro Alessandro Dumas padre,anch’esso spirito libero ed impenitente in tutto, superato forse solo dal figlio, che presenziò all’imbarco da Quarto della truppa garibaldina, a bordo di una barca, in compagnia di diverse donnine di dubbia fama.

Come poeta non lasciò una grande traccia, appoggiandosi per un breve periodo al movimento letterario chiamato Scapigliatura, una sorta di congrega eterogenea di giovani autori che potremmo oggi definire i nonni degli Hippies degli anni '60 del 1900. La sua costante ricerca della rima poetica, lo portò ad adottare la metrica classica carducciana ma con modesti risultati. Ebbe più successo e notorieta’ con una poesia dedicata al poeta Giovanni Prati, dove attaccava violentemente le nozze di Umberto e Margherita, futuri sovrani italiani e alla nascita dell’erede al trono Vittorio Emanuele nel 1869, con una lirica dal titolo “Il parto e l’amnistia”, che gli valse, questa volta, l’arresto per vilipendio al capo dello Stato, ma venne rilasciato dopo breve tempo.

Nel 1873 diventa deputato tra i banchi della sinistra, ma si allontana quasi subito dal “moderato e colonialista” Crispi, garibaldino come lui, ma evidentemente imborghesito politicamente nel momento in cui è chiamato a guidare un Governo, per la prima volta presieduto da un fedelissimo del Generale, nato nel 1876. Nel 1883 tenta di dar vita, con alcuni rappresentanti di sinistra, al fascio democratico, ovvero l’unione dei sindaci della sinistra italiana. Dal lontano 1872 lavorava per istituire una corrente politica radicale che avesse come principi base alcuni punti che saranno dal 1890 la base programmatica dove eserciterà la propaganda elettrorale la nascente Estrema Sinistra Storica.

Con il deputato radicale Bertani, Felice Cavallotti fu il vero ideatore e propugnatore di un'idea di politica che doveva partire dal basso, all’interno delle classi povere ,ma espandersi nelle altre società civili nascenti all’epoca in italia, all’alba del movimento industriale, che con la sua nascita, stravolgeva i canoni secolari su cui si basava la difforme e frastagliata società italiana. Stavano nascendo categorie lavorative che ben presto si sarebbero trasformate in potenti lobby e questo era un pericolo da limitare, cercando una sponda politica nelle diverse fasce di popolazione che subivano questi cambiamenti. Abbracciava quindi la politica di Cavour, strizzando l’occhio ad una destra moderata, rilanciando l’idea di separare la Chiesa da uno Stato più libero di agire nella sua laicità, l’ipotesi di un federalismo europeo, vale a dire che toccava ai governi dialogare per evitare guerre e non lasciare alle monarchie di imparentarsi con i soliti matrimoni tra consanguinei, per evitare le stesse ,una tassazione progressiva da adottare per le nascenti fasce produttive, riduzione del servizio di leva, diritti alle donne, indipendenza della magistratura dalla politica e contrasto totale al colonialismo italiano in Africa: l’avversione politica verso Crispi, uomo di sinistra ed allievo di Garibaldi, si trasformò in una sorta di lotta privata, in quanto Cavallotti vedeva nelle decisioni di Crispi un vero ed autentico tradimento dei principi che avevano ispirato la partecipazione dello spirito garibaldino all’impresa dei Mille.

Altro scontro durissimo lo avrebbe reso protagonista di un discorso rivolto a Napoleone Colaianni, reso in Parlamento, in cui, Cavallotti accusò i repubblicani di voler una Italia libera ma non unita, con il rischio di seguire la linea politica adottata dai rivoluzionare francesi all’inizio del 1792 che porterà al regime del Terrore: anche in questo caso il fondatore dell’estrema sinistra storica era coerente con un programma di sviluppo sociale che doveva essere mirato al conseguimento della totale libertà individuale. Non a caso, come si può leggere nella sua biografia - il suo testamento spirituale - è chiarissimo e dimostra una totale libertà di espressione, ovvero, “parola d’ordine: onestà ed un’unica fede religiosa basata su giustizia ,eguaglianza, libertà e progresso, difese da una sola arma che tutti devono portarsi appresso: il coraggio delle proprie opinioni.”

Leggendo oggi queste frasi, sono pienamente consapevole che molti politici, amministratori, portaborse e militanti partitici di qualunque colore ed estrazione sociale, non hanno mai letto il manifesto dell’allora Sinistra Storica. Felice Cavallotti in quel periodo storico divenne agli occhi di molti italiani il difensore numero uno dei diritti civili dei poveri, non sempre a ragione perchè aveva uno stravagante modo di condurre le proprie battaglie politiche e personali: sfidare a duello tutti coloro che non la pensavano come lui, cosa inusuale per l’epoca, in quanto a lanciarsi il guanto di sfida erano in particolare i nobili, i militari, l’alta aristocrazia annoiata, non certo un figlio del popolo qualunque, ma lui era fatto così, difendeva la sua coerenza anche con la sciabola.

Il suo nome oscurò quello di Crispi quando questi ordinò di reprimere con arresti e fucilazioni sul posto i disordini scoppiati in Sicilia durante i Moti dei Fasci Siciliani che videro uccisioni di civili in diverse località e la condanna del deputato socialista De Felice Giuffrida a quasi 20 anni di carcere, reo di aver guidato ed istigato la rivolta organizzata dei lavoratori :la protesta era dovuta all’esasperazione della popolazione piu’ povera e martoriata della sicilia,braccianti agricoli e minatori delle solfatare in testa, che si erano sentiti traditi dalle promesse fatte da Garibaldi gia’ nel 1860,quando promise la distribuzione della terra incolta ai contadini ed abolizioni di antiche leggi feudali, annullate per finta dai Borbone alla vigilia dei moti del 1821, ma mai avvenute nella realta’,affidando alle baronie e latifondisti locali la gestione ,violenta e ricattatoria, dell’economia insulare.Era il 1893,Crispi dovette dimettersi da Presidente del Consiglio e fu oggetto anche di un attentato,onde per cui furono emanate leggi antianarchiche,estese anche ai circoli socialisti.

Come se non bastasse, l’anno dopo, nel 1894 scoppiò lo scandalo della Banca Romana con a capo un ex camorrista napoletano e semianalfabeta, Bernardo Tanlongo, che si distingueva nelle cerimonie conviviali a cui era invitato, nei più importanti palazzi istituzionali, compreso il Quirinale, perchè aveva l’abitudine di orinare nei grandi vasi ospitanti rigogliose piante di felci, senza curarsi degli ospiti che guardavano tra l’inorridito ed il gioviale le prestazioni prostatiche del soggetto. Nessuno rimproverava al medesimo alcunchè, anche perchè tutti sapevano che Tanlongo era un grande amico dei potenti politici dell’epoca, in particolar modo di Giolitti che pare - ma poi l’accusa si ridimensionò - ricevesse molti soldi in contanti a titolo personale dallo stesso presidente della Banca Romana, tanto più che erano falsi, perchè la banca, all’epoca una delle cinque che erano autorizzate a stampare cartamoneta nel Regno, aveva iniziato a stampare cartastraccia senza nessuna copertura aurea. Nessuno se ne accorgeva, tutti ricevevano danari ed in molti vivevano felici e contenti: in particolare la moglie di Crispi, Lina Barbagallo, anche loro coinvolti a vario titolo, il che porterà Cavallotti a rivedere le responsabilità di Giolitti, scusandosi anche per i toni usati durante le fasi dello scandalo bancario.

Nel 1871 durante la Comune in Francia Cavallotti sostenne le posizioni socialiste del movimento, cosa questa che anni dopo gli venne riconosciuta anche da Filippo Turati, mentre pur accusato di esserlo, non fu mai un iscritto alla Massoneria, anche se condivideva certe argomentazioni portate avanti da alcuni capi\loggia, ma sempre in un’ottica di separazione di rapporti e carriere, al fine di garantire l’evitarsi di ingerenze ed infiltrazioni di lobby e potentati all’interno dell’attività parlamentare, fedele al suo credo basato sull’onestà e sui meriti delle persone, sia individuali che associativi.

Felice cavallotti

L’aspetto fisico di Felice Cavallotti era un perfetto mix dell’estetismo dell’epoca che abbracciava diverse classi sociali: portava i baffi all’umbertina, una moda molto diffusa che prevedeva baffoni a manubrio, capelli bianchi, corti ma perennemente spettinati, quasi a voler rimarcare la vicinanza agli scapigliati autori culturali di quel periodo, camicia bianca ma mai con il colletto inamidato, simbolo dei benestanti, cappello portato alla moda dei paesani di campagna, sguardo ogoglioso e fermo, alta la fronte, tutto sommato una figura positiva che doveva, agli astanti, infondere curiosità e sicurezza, ma in fondo destava particolare interesse e stima per la sua totale avversione alla corruzione.

Prestò giuramento allo Statuto Albertino, per poi subito ammettere che non era verso la monarchia, ma solo alla carta che esso riconosceva. Chi lo ha visto all’opera in veste di politico, lo dipinge come teatrale e molto incline ai cambi d’umore, ma ebbe comunque un rispetto per la sua persona, che proveniva sia dai banchi della destra, sia dai moderati ma poco dalla sinistra ,in particolare per la sua posizione estremamente radicale e per l’ira che riservò in Parlamento contro Crispi, suo compagno d’armi garibaldino, in particolare dopo la tragica sconfitta di Adua nel 1896 che costò alle tre colonne di soldati italiani mandati allo sbaraglio dal generale Baratieri, migliaia di morti e la vergona militare internazionale per aver subito la più grave sconfitta coloniale in Africa ad opera del negus Menelik.

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Abile spadaccino, affrontò nella sua vita 33 duelli all’ultimo sangue, senza però mai uccidere il suo avversario, a volte ritiratosi dopo una lieve ferita. Tanto bastava a Cavallotti per aver lavato con il sangue l’offesa ricevuta. Fatale gli fu l’ultimo duello, avvenuto a Roma il 6 marzo 1898. Questa volta a sfidarlo fu il conte Ferruccio Macola, giornalista e direttore della Gazzetta di Venezia, accusato da Cavallotti di aver citato sul giornale una notizia riguardante la sua persona in merito ad una querela come deputato a lui ascritta, senza verificare l’autenticità dell’atto giudiziario ritenendo quindi un mentitore Macola, molto vicino alla destra storica di cui fu anche rappresentante istituzionale come deputato al Parlamento. Il duello all’arma bianca rappresentata dalla classica sciabola, avvenne a Centocelle, nel viale del giardino della residenza della contessa Cellere. Qui in presenza dei testimoni, dei due duellanti e di un notaio, Macola, che all’epoca aveva circa vent’anni meno di Cavallotti, con un affondo colpì l’avversario con una stoccata che fece penetrare la punta dell’arma nella bocca dello sfortunato Cavallotti, recidendo parte della lingua e della carotide: la terribile ferita procurò la morte in breve tempo di quest’ultimo, non prima di una atroce agonia vissuta, anche drammaticamente dallo stesso sfidante Macola.

Si venne a sapere che nei primi anni di attività politica, Ferruccio Macola fu un fervente ammiratore di Cavallotti, perdendone però con il passar del tempo la considerazione, in quanto lo riteneva ambiguo ed opportunista. Nel 1910 a Merate, Ferruccio Macola si suicidò sparandosi un colpo di pistola alla testa.

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L’ultimo duello che si svolse in Italia fu tra due filomonarchici per ragioni politiche, il 22 marzo 1955.  Fiorentino Gaetano ed Attilio Romano: si sfidarono alla solfatara di Napoli, in presenza di testimoni ed un fotografo che immortalò nella posizione di guardia i due soggetti muniti di…….canottiera! Assistere ad un duello tra monarchici in canottiera era abbastanza divertente e scandaloso nell’ottica della tenzone tra aristocratici di antica memoria, quindi con abbigliamento appropriato, con tanto di camicie bianche contornate di pizzo ecc.., ma si seppe poi che, essendo un duello che doveva terminare alla vista del primo sangue, la canottiera bianca avrebbe facilitato l’opera del giudice di gara ad individuare la ferita che avrebbe stoppato l’incontro senza una vittima sacrificale immolata in nome dell’onore.

Mentre invece l’ultimo duello in Europa avvenne nel 1967, arma la spada, tra due politici, guardacaso, che dopo una litigata all’Assemblea Nazionale, non contenti delle scuse reciproche, si incontrarono per lavare nel sangue le offese ricevute. Pare che lo sfidato, l’allora sindaco di Marsiglia, Gaston Deferre abbia apostrofato l’altro politico, Renè Ribiere, con un sonoro “taise’-vous abrutil!“ che tradotto in piemontese suona “sta cito struns!”: a questo punto a Ribiere viene in mente di sfidarlo a singolar tenzone, dimenticando però che l’indomani avrebbe dovuto sposarsi. Eranoentrambi molto arrabbiati. L’accordo era che la vista del primo sangue non sarebbe bastata per porre fine al combattimento, che aveva come testimone un parlamentare della sinistra gollista, pare munito di telecamera. Dopo un cruento scontro condotto dai due contendenti con lodevole impegno e gran coraggio, Deferre dopo aver ferito lievemente l’avversario, fu dichiarato vincitore dal giudice presente e tutti ritornarono a casa, senza immaginare che la sfida sarebbe passata alla storia come l’ultimo duello avvenuto sul Vecchio Continente.

Deferre quando seppe che l’avversario avrebbe dovuto convolare a nozze il giorno seguente la data fissata per il duello, promise di non ucciderlo, ma solo di rovinargli la prima notte di nozze con una ferita... Ora, non ci è dato sapere in che parte del corpo fu ferito il promesso sposo ,ma sicuramente il sindaco di Marsiglia mirò, per quanto detto, sicuramente alle parti basse del ventre, immagino in particolare ai gemelli penduli al di sotto della torre Eiffel in miniatura: se così è stato, il povero Ribiere ha dovuto sicuramente prolungare di almeno tre mesi la luna di miele per poter consumare, secondo tradizione, la prima notte di nozze.

Battute a parte, siamo di fronte a personaggi politici che, coerenti con le loro idee ,le portavano avanti anche a rischio e pericolo della propria vita e se non bastavano le parole ricorrevano anche ad un’arma, senza vantaggio alcuno, alla pari, come i vecchi gentiluomini di antica memoria ci avevano insegnato.

Oggi, in Italia ogni politico si riempie la bocca con "ognuno deve rispondere della propria responsabilità davanti al popolo!". Bene lo faccia! Basta un cavatappi ed una bottiglia di barbera, tranquilli, non occorre una sciabola o una pistola, siamo un popolo pacifico ,consapevole che duellando con un nostro parlamentare, sarebbe sciocco ed inutile mirare alle parti intime, in quanto ci si può solo imbattere in una torre di Pisa in miniatura, sempre non sia già crollata sui due gemelli pendenti dietro ad un paio di sondaggisti che cercano di capire se pende di più a destra o a sinistra.

 

 

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