Sab, 20 Apr, 2024

1855: un pastore canavesano va alla guerra. La storia di Giovanni Bobbio Bessone del suo congedo

1855: un pastore canavesano va alla guerra. La storia di Giovanni Bobbio Bessone del suo congedo

ll fante, nato nel 1833, era originario di San Benigno Canavese

Ci sono vite che meritano di essere raccontate e storie di uomini che devono essere ricordate onde garantire alla memoria quel ruolo di testimone sincero che ci permette di riportare alla luce avvenimenti che altrimenti rimarrebbero nell’oblio. È il caso del pastore Giovanni Bobbio Bessone, nato a San Benigno il 17 novembre del 1833, figlio di Giovanni e Bracco Laura.

Ci racconta questa storia un vecchio, incartapecorito congedo militare del 5° Reggimento di Fanteria redatto a Milano il primo giorno di dicembre del 1865. Nei suoi contrassegni personali viene indicato di 169 centimetri di altezza, capelli biondi ed occhi grigi e con due nei sulla guancia sinistra. Non è ammogliato ma sa leggere e scrivere. Questo particolare non è di poco conto se pensiamo che all’epoca nell’esercito del Re Vittorio Emanuele II, formato dal 65% di contadini e dal 25% di operai ed artigiani, gli analfabeti erano circa il 20% e solo il restante 10% della truppa, completata da aristocratici e borghesi, aveva una preparazione scolastica e culturale degna di questo nome.

Dopo la sconfitta di Novara del 1849, il Piemonte riforma il nuovo esercito ed introduce paghe che vanno dai 15 centesimi al giorno in tempo di pace ed innalzate, ad arrivare al 70% in più, in tempo di guerra con l’aggiunta di una razione di pane e circa 800 grammi di legna giornaliera: il doppio per i sottufficiali. La chiamata avveniva per sorteggio e lo sfortunato giovane poteva essere sostituito dietro pagamento di una somma di danaro o sostituito da un diretto parente.

Chi sapeva leggere e scrivere andava a formare il quadro sottufficiali e la prima nomina era quella con il grado di caporale: fu il caso di Giovanni che, soldato di leva nel 6° Reggimento Fanteria, matricola 13948, ebbe codesto grado il 12 luglio 1859, sergente dal 1861 e congedato in patria nel 1864. L’importanza della carriera militare di questo giovane è straordinaria per i luoghi e le battaglie combattute che sono con meticolosa precisione elencate nel foglio di congedo.

Partì, infatti, il 17 ottobre del 1855 per la Crimea nel corpo di spedizione della Guerra d’Oriente voluta fortemente da Cavour. Il primo contingente partì per nave da Genova il 25 aprile del 1855 e gli uomini impegnati in questa impresa furono circa 18.000.

La guerra era iniziata nel 1853 a causa di una diatriba su chi doveva controllare i Luoghi Santi tra Francia e Russia e dopo breve tempo il conflitto si allargò coinvolgendo anche l’Inghilterra, che si schierò a fianco dei transalpini, e della Turchia, a cui si alleò in un secondo tempo il Piemonte. I nostri bersaglieri si distinsero contro gli attacchi Russi alla Cernaia ma il vero nemico era un altro. Il prezzo pagato in vite umane a causa del colera e del tifo fu sconvolgente: circa 4.000 morti tra cui il fondatore dell’arma dei bersaglieri, Alessandro La Marmora a fronte di circa 200 tra morti e feriti in combattimento. La conseguente pace di Parigi del 1856 permise al Piemonte di perorare la causa italiana di fronte all’Europa, avvicinando politicamente alla nostra piccola Nazione, come Cavour ed il Marchese Pes di Villamarina speravano, la Francia di Napoleone III, e giustificare così il sacrificio di tanti nostri giovani.

Giovanni fa rientro dalla penisola russa il 3 maggio 1856 ed il 15 giugno riceve la medaglia Sarda di Crimea: posto una prima volta in congedo, lo ritroviamo poi presente sui campi di battaglia di Solferino e San Martino nel 1859 tanto da essere decorato con l’onorificenza francese della Campagna d’Italia, autorizzato a fregiarsene per determinazione sovrana il 1° aprile 1860. Inutile dire l’importanza di questo epico scontro che coinvolse su di un fronte di 20 chilometri circa 250.00 soldati appartenenti all’esercito Francese, Austriaco e Sardo. Il massacro che ne seguì scosse gli animi di tutta Europa, e in particolare di un commerciante svizzero, Henry Dunant, che trovatosi a visitare, i giorni successivi gli scontri i feriti, e vedendo lo straziante spettacolo delle moltissime fosse comuni dove i caduti senza nome venivano sepolti per evitare pericolose epidemie, scrisse il famoso libro “Un ricordo da Solferino” in cui, oltre a descrivere la battaglia ed il conseguente massacro di tanti giovani, veniva denunciata la mancata organizzazione sanitaria per il soccorso ai feriti ed il successo di tale, impietoso resoconto, diede allo stesso Dunant l’ispirazione per la nascita della Croce Rossa Internazionale.

Sia la guerra di Crimea che la Seconda Guerra d’Indipendenza sono temi che nel tempo sono stati trattati ampiamente da molti storici di tutto il mondo. Non così invece l’ultima impresa in terra italiana compiuta dal Bobbio, questa volta nello Stato Pontificio nel 1861.

Il documento del Regio Esercito recita così: «Campagna della bass’Italia 1860. Era presente ai fatti di Casamari e Bauco nel gennaio e febbraio 1861 ove il 4° Battaglione del 6°Fanteria ebbe la Menzione Onorevole per R.D.1 giugno».

Cosa era successo in questi due paesi ed in particolar modo a Bauco nella campagna romana, all’epoca sotto lo Stato Pontificio, che a quel tempo non era certamente in guerra con il Piemonte? I fatti possiamo riassumerli così: nel gennaio del 1861 il Re delle Due Sicilie Francesco II°, dopo aver abbandonato Napoli, si è da tempo rifugiato nella fortezza di Gaeta con la consorte Sofia (la sorella dell’Imperatrice d’Austria Elisabetta di Baviera detta “Sissi”) e, assediato da terra dal generale Cialdini e dal mare dalla flotta Sarda al comando dell’Ammiraglio Persano che bombarda incessantemente la roccaforte napoletana, tenta disperatamente una difesa, mentre nelle campagne gli abitanti insorgono contro questi piemontesi che senza dichiarare guerra alcuna vogliono impadronirsi del Regno del Sud. Questo mese vede la prima operazione militare organizzata da un colonnello borbonico di nome Luvarà che, radunati popolani, briganti locali ed alcuni volontari francesi, dopo aver liberato i paesi di Carsoli e Tagliacozzo, viene poi fermato nei pressi dell’abitato di Scurzola dove i Sardi, dopo aver catturato circa 366 rivoltosi, ne fucilano ben 89.

Questo episodio non ferma gli insorti che, radunatisi sotto gli ordini del capobanda Chiavone nel paese di Casamari, oppongono una strenua resistenza dopo che il Generale torinese De Sonnaz, non curante della neutralità dello stato retto da Pio IX e penetrato nel territorio papalino, aveva ordinato di bruciare l’abbazia del luogo, centro di reclutamento di rivoltosi fedeli ai Borboni e per ritorsione contro il vescovo Montieri, oppositore al nuovo governo del nord.

Chiavone, conoscitore dei luoghi a differenza dei piemontesi, riesce a sganciarsi e si congiunge con circa 700 uomini ad un legittimista alsaziano di nobile famiglia cattolica di nome Christen, che comanda un nucleo di insorti nel paese di Bauco posto su di una collina alta circa 450 metri e protetto da una antica cortina muraria che permette ai rivoltosi di respingere gli assalti di una colonna piemontese composta da circa 2.000 uomini e sei pezzi di artiglieria. Lo scontro fu durissimo ed i Sardi persero circa 500 uomini tra morti e feriti senza riuscire a penetrare nell’abitato. Per porre fine allo scontro si arrivò ad un accordo. Era il 28 gennaio 1861. De Sonnaz era costretto a riportare fuori dai confini dello Stato Pontificio tutti i suoi uomini mentre Chiavone si impegnava a non radunare rivoltosi nella zona per evitare azioni militari contro i sardi.

In sei anni Giovanni aveva vissuto tutte le tappe più importanti ed atroci delle campagne risorgimentali passando tra campi di battaglia ed episodi che ancora oggi vengono ricordati come avvenimenti grandiosi e nello stesso tempo tragici: Crimea,San Martino e Solferino, la Campagna Meridionale, erroneamente detta “di brigantaggio” e fonte ancora oggi di accese discussioni.

Ci resta come silente testimone di quel roboante periodo di guerra e di passione, cui partecipò questo giovane canavesano, il suo congedo, un foglio di carta ingiallito dal tempo che racconta una delle tante gioventù sacrificate alla guerra ed alla Patria.

Bauco nel 1907 cambiò nome in Boville Erica ed è considerato a ragione, per la straordinaria bellezza e conservazione del suo abitato, uno dei più ammirati ed amati borghi d’Italia.

 

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