Nell’epoca in cui i nazionalismi si confondono con la cultura e soffocano la letteratura tradizionale
La storia non si scrive con i se e con i ma, malgrado questo mi sono sempre chiesto quale ruolo abbia avuto un personaggio come Gabriele D’Annunzio sulla storia italiana e più precisamente il compito svolto dal poeta interventista, da quel famoso discorso dallo scoglio di Quarto di garibaldina memoria, ove con parole deliranti e fagocitate dalla verve oratoria che egli possedeva, inneggiò ai 'patri confini ed al brutal nemico', aizzando la folla, che poco aveva capito di un discorso aleatorio e retorico, ad essere partecipe e favorevole all’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa. Un comizio urlato e gesticolato che venendo dalla bocca di un poeta affermato come Rapagnetta (suo vero cognome), avrebbe, a detta di molti contemporanei dell’epoca, dato la spallata finale alle mire pacifiste dei moderati.
D’Annunzio all’epoca cinquantaduenne è il simbolo italiano di una letteratura europea stanca, che non trova stimoli in una società pre industriale che per la prima volta si affaccia sul vecchio continente, ormai da anni privo di guerre al suo interno, (l’ultima guerra combattuta in Europa degna di questo nome è lo scontro Franco\Prussiano che terminò nel 1870, dopo una breve e cruenta lotta, a Sedan, dove i tedeschi catturarono l’imperatore Napoleone III), che però si erano spostate nelle colonie africane a scapito di popolazioni povere ed indifese, una vera e propia spartizione del continente nero tra gli stati europei, i quali avevano così trovato canali commerciali che si potevano tranquillamente sfruttare, ricavandone enormi ricchezze.
Fine quindi del lungo periodo in cui i moti risorgimentali e libertari di molti Paesi, avevano dato linfa alla letteratura ed a poeti, che pescando nel mare dei sentimentalismi patriottici, avevano per decenni coniugato rime e politica, romanzi e guerre, al fine di dare un apporto significativo ed a volte determinante alle diverse cause per le quali,milioni di persone, si battevano. Non c’era più nulla di romantico nelle gesta dei minatori nelle viscere della terra, che avevano sostituito le gesta dei soldati sui campi di battaglia, e meno ancora avevano da dire la grande schiera di intellettuali, che nulla avevano da predicare per potersi assicurare una degna sopravvivenza,non solo culturale.
Tra fine '800 e inizio del '900 nasce il Decadentismo
Non per niente, il movimento letterario che nasce tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900,si chiama Decadentismo, una sorta di resa incondizionata della prosa e della poesia sentimentale e positiva (il Positivismo era ormai superato) a favore di un gruppo di poeti che disperatamente cercavano di dare un senso alla propria vita, facendo sì che la stessa fosse oggetto dei loro racconti di esistenze disperate, al limite della follia ed a volte dell’indigenza, tanto erano distanti i temi trattati, dalla gente comune e quindi poeti poco seguiti dal grande pubblico e rivalutati parzialmente alla loro morte.
E’ il caso della grande e folta shiera dei “poeti maledetti”,da Verlaine a Rimbaud, da Baudelaire a De Maupassant, passando da Poe ed arrivare ad artisti come Vincent Van Gogh, mentre in Italia nasce la corrente degli “scapigliati”,scrittori e poeti e presunti tali,che hanno una idea di società aperta e libera a tutte le esperienze, anticonformisti, con poche esigenze se non quelle essenziali a vivere ,comunque sempre al di sopra delle regole e….con i capelli lunghi.
In Francia la Belle Epoque aveva cambiato la vita a molti parigini e non solo a loro, tanto che molti intellettuali si erano immersi in quel clima festaiolo e libertino, traendo spunti controversi per la loro opera divulgativa in senso letterario, ove il sentimentalismo era spodestato dal nichilismo e dal narcisismo, per cui l’importante era apparire. La platea dei letterati e della classe intellettuale italiana non aveva seguito appieno e per fortuna, la moda francese, imposta come marchio di fabbrica dal Moulin Rouge, e pertanto la sobrietà culturale nostrana aveva continuato a seguire le vecchie regole poetiche, mai dimenticandosi che eravamo nel paese di Dante. Tutti tranne uno: Gabriele D’Annunzio.
Il poeta icona di stile e di...eccessi
D'Annunzio, re della comunicazione e della dialettica incipriata
Un uomo che ha fatto del narcisismo il suo modello di vita, la lussuria il suo motivo esistenziale, il piacere la sua divagazione preferita, i debiti il motivo per cui spariva, i tradimenti sentimentali un vanto, le droghe la sua consolazione.
Poi c’era il poeta, certo, quello che ha scritto capolavori ed emeriti scarabocchi nello stesso tempo,seguito ed osannato, maledetto ma mai abbandonato, il re dei followers ante litteram, un genio della comunicazione in un mondo pieno di analfabeti, dove l’apparire era dunque più importante che scrivere e lui l’aveva perfettamente capito, diventando un icona di stile e raffinatezza, molte volte contraendo debiti mai onorati. ”Sufficit animus”
Un grande opportunista, mai banale quanto incoerente, tanto da passare politicamente dall’estrema destra storica, all’estrema sinistra storica nel giro di tre anni,dal 1897 al 1900, con un occhio di riguardo ai socialisti, per poi concludere la parentesi politica con l’amico sommergibilista Costanzo Ciano, nell’Azione Nazionalistica Italiana nel 1910, movimento che confluirà nel 1923 nel partito fascista.”A noi !”
All’alba di quel “maggio radioso” che vide l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria (la dichiarazione di guerra alla Germania arriverà più tardi, giusto per continuare una vecchia tradizione tutta italiana di vetusta ipocrisia e che avrà i suoi contraccolpi alla conferenza di pace di Parigi), Gabriele D’Annunzio è un soggetto famoso per le sue stravaganze, amanti ed alcune rime indovinate, ma lontano da quel “Vate” in cui lui si identifica, poeta veggente e regale, titolo fino a quel punto spettante ad un certo Ugo Foscolo e Giosuè Carducci, quest’ultimo passato dai socialisti ai monarchici dopo essere stato infatuato dalla Regina Margherita giunta in una piovosa giornata a Bologna.
E’ un signore di mezza età, pieno di debiti (alcune cambiali mai onorate da Rapagnetta si possono trovare nelle diverse aste antiquarie ancora oggi in giro per l’Europa), assillato da amanti, concubine, ex mogli ed altro ancora, guadagna anche bene ma dissipa tutto e molto di più, ma nello stesso tempo è il re della comunicazione e della dialettica incipriata che tanto piace.
D'Annunzio e Natali Palli in partenza per il "Volo su Vienna"
“Immotus nec iners”
Quarto è la grande occasione e lui, con l’aiuto ovviamente di industriali ed avventurieri pronti ai blocchi di partenza per la grande abbuffata, che per loro la guerra rappresenterebbe, si prostituisce alla politica interventista e si inventa pure soldato per accompagnare con il gesto, le parole profuse per convincere gli italiani all’entrata in guerra. Con buona pace del motto ”Habere non haberi”.
Il suo apporto materiale alla stessa sarà minimo, in quanto le sue imprese di Pola e Cattaro, compresa la tanto decantata “Beffa di Buccari”, dove un solo siluro, sui sei sganciati dai Mas comandati da Luigi Rizzo, scoppiò contro una rete sommersa di protezione, senza arrecare nessun danno alla flotta austriaca in rada, passando per il “Volo su Vienna” sull’aereo pilotato dal casalese Natale Palli, lanciando volantini in un caldo agosto del 1918 su di una città indifesa e drammaticamente attanagliata dalla fame, tanto che a breve l’Austria sarà costretta alla resa,ed anche l’ultima apparizione nella decima battaglia dell’Isonzo, non sono altro che studiate operazioni di propaganda ideate con meticolosità e programmate con il solo intento di risollevare il morale alle truppe italiane, in particolare, dopo la disfatta di Caporetto, dove il fronte, non più nelle mani del generale Cadorna, ma di Diaz, fu costretto a retrocedere e trincerarsi sulle sponde del Piave.
Blogger e influencer più famoso del Regno
A guerra conclusa D’Annunzio è il blogger più famoso del Regno d’Italia, con una divisa da generale di brigata aerea, ferito di guerra e ben 8 medaglie al merito di guerra, piu’ la nomina, che arriverà piu’ tardi nel 1924 ad opera del Re Vittorio Emanuele III, a Principe di Montenevoso, un’altura in Slovenia di circa 1700 metri, punta estrema dell’avanzata italiana in territorio nemico durante le ultime fasi della guerra, e, naturalmente a tempo perso, anche poeta.
A questo punto una persona considerata normale, si carica le medaglie in auto, si cura le ferite, scrive le sue memorie e si ritira a vita privata, invece il nostro, offeso dalla presa di posizione degli alleati nella conferenza di Pace di Parigi che non riconoscono all’Italia il territorio di Fiume, forma un piccolo esercito che battezza “legionari di Fiume”, parte dalla cittadina di Ronchi presso Monfalcone ed occupa la città dalmata con tanto di proclama e con la stesura della “Carta del Carnaro”, un vero e proprio statuto alla moda di Carlo Alberto, tant'è la sua autostima ”Semper adamas”. Di fatto il poeta si dichiara reggente ed il territorio è sottoposto ad una dittatura, peraltro finanziata dai nascenti fasci di combattimento creati da Mussolini: altro ex socialista.
Il look ha la sua importanza e Rapagnetta non ha certo bisogno della Ferragni: cappello da alpino, baionetta alla cintola, divisa da ufficiale con tanto di nastrini ed aquila da aviatore, stivali lucidissimi, pizzetto e sguardo truce: aveva appena inventato il fascista perfetto,ma lui non lo sapeva: narciso.
Il poeta in un ritratto di Enrico Marchiani
“Non ducor,duco”
Per farlo sloggiare dal golfo del Quarnaro dovette intervenire l’esercito italiano, dopo che il trattato di Rapallo sanciva lo stato libero di Fiume, ma che D’Annunzio non riconosceva e quindi si dovettero usare le maniere forti ed alla fine dei combattimenti durati dal 24 al 27 dicembre 1920, periodo questo conosciuto con il nome “Natale di Sangue”, le vittime dei bombardamenti furono molte ma la città fu sgomberata dai legionari e dal suo “dittatore romano” e ritornò libera.
A causa dei continui scontri tra autonomisti e nazionalisti che avvennero dopo che Fiume fu liberata dalla presenza del poeta e dai suoi legionari, la città fu incorporata nel 1924 al Regno d’Italia dal governo fascista.
L'impresa di Fiume
Per D’Annunzio la delusione dell’impresa di Fiume fu fatale per il suo orgoglio, tanto che questa volta si ritirò in una villa acquistata a Gardone Riviera e che negli anni ampliò, facendola diventare a poco a poco un luogo di culto della sua personalità e delle sue imprese ed anche la sua tomba.
I due anni di occupazione di Fiume, gli atteggiamenti avuti sia dal poeta che dai suoi legionari evocanti i fasti dell’antica Roma, tra versi epici di rime composte ad esaltare l’azione quasi divina dei soldati agli ordini di un antico duce romano e l’armamentario quasi folcloristico delle divise degli arditi che simboleggiavano le corazze imperiali dei gladiatori, lasciarono peròil segno e divennero i simboli del nuovo regime, intriso di retorica ed autoesaltazione, lo stesso specchio in cui D’Annunzio vide passare la sua vita. ”Cinque le dita e cinque le peccata”.
Il Vittoriale donato agli italiani
Dal 1920 al 1937, anno in cui morì a causa di un ictus al suo tavolo da lavoro nella villa al Vittoriale - così chiamò la sua dimora - D’Annunzio si dedicò alla sua produzione letteraria, venerato ed invidiato, occupato a dividersi tra antiche mogli e nuove amanti, campione di eccessi quasi sempre perdonati da chi aveva tradito ed umiliato, confortato da lauti guadagni che le sue opere ottenevano grazie alla sua popolarità e che imperterrito continuava a dilapidare, malgrado abbia sempre rifiutato la tessera fascista, Mussolini gli fece dono di una pensione che il poeta non rifiutò. Nel 1930 D’Annunzio donò la sua casa, il Vittoriale, agli italiani.
Morì forse nel momento di maggior splendore del regime fascista, l’impero Italiano era nato dopo la conquista di Addis Abeba ad opera di Badoglio, le leggi razziali non erano state ancora firmate e la guerra in Europa sembrava ancora lontana. La sorte gli impedì di assistere alle tragedie che un altro ex socialista, Hitler, odiato dal poeta che lo definiva “Attila imbianchino”, provocò con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale a fianco dell’Italia, il genocidio degli ebrei e le persecuzioni delle minoranze etniche, della soppressione di molti di quei diritti che invece D’Annunzio scrisse sulla Carta del Carnaro durante l’impresa di Fiume.
Il Vittoriale, la sua casa museo, donata agli italiani
Personaggio luminoso in letteratura quanto opaco nella vita, offuscata da una morale inesistente, a volte cinica, irrispettoso ed irriguardoso delle sofferenze altrui, tanto che con il passare degli anni dovette trovar conforto nelle droghe per lenire sia i dolori fisici, ma soprattutto i mali di un anima lacerata forse da rimorsi che lo portarono a dichiarare per iscritto alle donne al momento vicine, propositi suicidi, in diverse occasioni. Morì solo, nella tetra oscurità che avvolgeva gli ambienti in cui viveva in quanto fotofobico a causa dell’incidente nel 1916 occorso all’occhio destro, con la penna in mano e con la mente occupata a divincolarsi da quelle paure e quei dilemmi esistenziali di cui fu attore ed anche vittima.
La vita e le opere del Vate
La vita e le opere di D’Annunzio sono ancora oggi materia di studio nelle scuole superiori italiane e se risponde al vero il fatto che la prosa è lo specchio dell’anima dell’autore, spiegare quest’ultima ai giovani nelle cattedrali del sapere, è come pretendere di leggere il Mein Kampf nelle sinagoghe.
Non meravigliamoci quindi se la comunità odierna intellettuale nostrana ,permeata da ipocrisia e perbenismo è lontana dalla realtà del Paese in quanto essa, se da una parte condanna quotidianamente i comportamenti autoritari, dall’altra fa l’occhiolino e protegge modelli di vita lascivi, molti dei quali erano la cartina di tornasole del Vate, quindi alla fine, anche da morto D’Annunzio ha messo d’accordo tutti, sia quelli di destra che i puri di sinistra, riducendo se stesso ad una carta assorbente che raccoglie i difetti di tutti e li trasmette per via istituzionale nelle aule ai giovani.
Riposa sul colle del “Vittoriale”, moderno tribuno romano attorniato dai suoi legionari, luogo divenuto simbolo di interrogativi che l’ipocrisia italica non ha ancora avuto il coraggio di affrontare.
Memento Audere Semper.
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