Ven, 14 Mar, 2025

L’Italia di fine '800: la triste sorte degli attentatori di Umberto I raccontata attraverso le immagini del tempo

L’Italia di fine '800: la triste sorte degli attentatori di Umberto I raccontata attraverso le immagini del tempo

Le Petite Journal di Parigi immortala Emanuele Filiberto Duca d’Aosta ed il fratello, il conte di Torino Vittorio Emanuele nell’atto di difendere l’erede al trono, temendo un attentato durante i funerali a Roma di Umberto I. Il terzo fratello, Luigi Amedeo duca degli Abruzzi, non potè essere presente perchè impegnato nel viaggio che lo porterà come esperto esploratore in quei mesi, a raggiungere la latitudine mai toccata prima da un essere umano, nei desolati ghiacci del Polo Nord, alla guida della nave rompighiaccio “Stella Polare” assieme al suo fido compagno Umberto Cagni. Nella pagina accanto, lo stesso giornale, illustra il processo contro Gaetano Bresci.

Immagine 2025 02 01 062553Immagine 2025 02 01 062614Una rivista francese rivela il suicidio di Gaetano Bresci

Subito dopo la morte di Umberto, venne introdotto nel Codice Penale il reato di Apologia di Regicidio, e a farne le spese per primi furono un parroco ed un frate, poi il 29 agosto si aprì il processo a Gaetano Bresci, la cui difesa fu rufiutata da Filippo Turati, molto probabilmente per non coinvolgere il Partito Socialista nella vicenda. Altra ipotesi, per proteggere la sua carriera politica. Alle 18 dello stesso giorno la Corte emise il verdetto di condanna all’ergastolo da scontare nei primi sette anni nel carcere di Ventotene, in una cella di nove metri quadrati costruita per l’occasione nel penitenziario di Santo Stefano.
Il 22 maggio 1901, Bresci fu trovato impiccato alla grata della condotta d’aria della sua cella e nessuna inchiesta venne mai aperta, pur girando voci che ritenevano l’autostrangolamento una messinscena per coprire un pestaggio ad opera di alcuni secondini.

Immagine 2025 02 01 063715Riviste italiane del 1878 rievocano il primo attentato subito da re Umberto ad opera di Giovanni Passanante 

Ancora oggi alcuni storici discutono sulla sua morte e pensano che Gaetano Bresci, abbia voluto evitare la prigionia, patita da Giovanni Passannante in condizioni disumane durante i primi anni di carcere, e abbia preferito suicidarsi piuttosto che condividere la sua stessa sorte.

Il giovane nato a Salvia di Lucania nel 1849, che cambierà poi con il nome di Savoia, su parere dei consiglieri del re che avvisarono il sindaco del paese del nuovo decreto, cercò di accoltellare Umberto mentre, in carrozza, era in visita ufficiale a Napoli, con Margherita ed il presidente del Consiglio Benedetto Cairoli che per l’occasione rimase ferito alla coscia da una coltellata di Passanante, deviata dalla spalla di Umberto, alla quale era diretta, mentre la Regina lanciava sul viso dell’attentatore un mazzo di fiori appena ricevuto da alcune donne sul percorso.

Ultimo di dieci figli, invalido ad una mano a causa di una grave ustione subita da bambino, costretto fin da piccolo a vivere d’elemosina, avanzando d’età iniziò a frequentare diversi circoli anarchici, finchè si convinse che i problemi stavano tutti nella classe dirigente ed in particolare nella figura del monarca. Perse anche fiducia nelle fede cattolica come molti altri socialisti. Processato, venne condannato a morte, pena poi commutata in ergastolo. Fu quindi rinchiuso in una cella del carcere di Portoferraio, posta al di sotto del livello del mare; le condizioni di umidità salina, negli anni, gli privarono il corpo dei peli e divenne cieco. Morì pazzo come Acciarito, il secondo attentatore del re, nello stesso luogo, ovvero il carcere criminale di Montelupo Fiorentino nel 1910.

Per quanto riguarda Acciarito, aveva 29 anni quando cercò di accoltellare Umberto I ed era titolare di una piccola officina da fabbro: pur non appartenendo a nessun gruppo o movimento anarchico, da sempre protestava le sue idee contro le condizioni di vita delle categorie più deboli. Il  20 aprile 1897 decise di attentare la vita al Re d’Italia, salutò il padre, che sentendo nell’animo che qualcosa di grave sarebbe successo, cercò di avvisare la polizia delle intenzioni del figlio , ma senza risultato. Il 22 assalì la carrozza reale ma il sovrano, visto il pugnale dell’attentatore, deviò il colpo e l’attentatore venne arrestato. Fin dal primo interrogatorio ammise che il suo gesto era dettato dalla miseria, dalla fame in cui versavano molte famiglie come la sua e criticava i danari spesi dal governo per finanziare la disastrosa campagna militare in Africa, invece di aiutare le classi povere. Non soddisfatti dalle risposte, gli agenti sottoposero Acciarito a duri interrogatori supportati pare anche da torture perché facesse il nome di complici e fiancheggiatori che invece non esistevano. A farne le spese fu un suo amico, tal Frezzi, colpevole di possedere solo una fotografia dell’attentatore e per questo anche lui torturato e poi probabilmente ucciso in carcere, mentre altri soggetti furono arrestati come anarchici e sovversivi.

Ritenuto colpevole dell’attentato, fu condannato all’ergastolo e tenuto in custodia per molti anni presso Villa Medicea a Montelupo Fiorentino in quanto le sue condizioni mentali si erano deteriorate al punto di condurlo sulla strada della pazzia. Morì nel 1943,  pazzo e solo, dopo ben 47 anni vissuti in condizioni estreme tra carcere e manicomio.

Ultimo atto atroce sui corpi di questi sventurati, fu compiuta da seguaci eugenetisti di Cesare Lombroso, che evidenziarono una specifica morfologia criminale nei soggetti esaminati, con l’intento di avvalorare le teorie del medico veronese, secondo il quale una particolare deformazione dell’osso occipitale, era segno evidente di una patologia criminale dell’uomo nato delinquente. Una teoria frutto di fantasie di stampo razzista per le quali lo stesso studioso fu in seguito, radiato dal comitato medico scientifico di Torino.

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Quest'ultima foto che ritrae il sovrano italiano con il Re di Serbia nel 1893 a Roma,  presenta una carrozza reale uguale a quella che venne usata nell’estate del 1900 a Monza da Umberto per raggiungere il campo di gara dei ginnasti, luogo in cui venne assassinato.

 

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Schedina Calvo

 

 

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