Gio, 27 Nov, 2025

Torino

Torino, la città "gemella" dove si digiuna per Gaza. La voce degli attivisti contro la guerra e l'assedio anche a Palazzo Lascaris

Torino si sveglia ogni giorno con il cuore rivolto verso Gaza. Le strade del centro, illuminate dalla determinazione di chi resiste, raccontano una storia di digiuni, presidi permanenti e grida di pace. Dal 20 settembre, Claudio Borsello, 55 anni, attivista di Ultima Generazione, ha scelto la via più estrema della non violenza: lo sciopero della fame. Sono ormai dieci i giorni in cui resiste senza cibo, il suo corpo che si consuma mentre la città di Gaza continua a bruciare sotto i bombardamenti dell’IDF.

Claudio non è solo un attivista. È anche il mappanese fratello della vicesindaco di Mappano, un dettaglio che porta questa lotta ancora più vicino al territorio piemontese e che intreccia la dimensione internazionale della tragedia con la quotidianità delle nostre comunità locali.

Al suo fianco si è stretto il Centro Studi Sereno Regis, che ha lanciato un digiuno a staffetta. Dal 9 maggio, Piazza Castello è diventata un presidio permanente ribattezzato “Piazza Palestina”, con tende e installazioni che ricordano costantemente la tragedia che si consuma dall’altra parte del Mediterraneo.

Gli attivisti torinesi non chiedono gesti simbolici, ma atti concreti. Oggi sono presenti all'ingresso di Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte, mentre ieri, lunedì 29 settembre sono stati ricevuti in municipio a Torino. Al Consiglio comunale di Torino, città gemellata con Gaza, chiedono di sottoscrivere un appello al Governo italiano affinché venga riconosciuto ciò che la Commissione Onu ha definito nel suo rapporto del 16 settembre 2025: il genocidio in corso. 

Le richieste al Governo

Le voci che si alzano da Torino, unite a quelle degli attivisti in sciopero anche a Roma, chiedono cinque azioni precise e immediate: riconoscere ufficialmente il genocidio a Gaza, sottoscrivendo il rapporto Onu; riconoscere lo Stato di Palestina, come hanno già fatto Francia, Regno Unito, Canada, Australia e oltre 150 Paesi; sospendere ogni cooperazione militare, tecnologica ed economica con Israele; aprire corridoi umanitari via terra e via mare, per far arrivare cibo e medicinali a una popolazione stremata dall’assedio; proteggere gli equipaggi civili della Global Sumud Flotilla e dei Thousand Madleens, minacciati di arresto o rapimento. 

Digiuni, resistenza e solitudine

Non è la prima volta che il digiuno diventa arma politica non violenta. Già nel 2024, da Mestre, si era diffusa una rete di staffette solidali in tutta Italia. Nel 2025, la mobilitazione si è intensificata: il 28 agosto oltre 30.000 medici hanno digiunato per Gaza, un gesto di solidarietà rimasto inascoltato.

Ora, a Torino, il digiuno a staffetta prosegue senza sosta. Dal 23 settembre, attivisti e cittadini si alternano a restare per 24 ore senza cibo e a dormire in piazza. Chi non può unirsi fisicamente, partecipa da casa: ogni giorno i nomi vengono scritti su un cartellone, simbolo di una comunità che non vuole arrendersi.

In Sala Rossa del Comune, ieri, gli attivisti hanno chiesto ai capigruppo di firmare un appello diretto alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. È un gesto simbolico ma potentissimo, per ribadire che “Torino lo sa da che parte stare”, come gridato dai cortei che hanno visto scendere in piazza più di 10.000 persone.

Se quella firma arriverà, lo sciopero della fame potrà fermarsi. Se non arriverà, gli attivisti promettono di andare avanti. Perché a Gaza, sotto le macerie e il silenzio internazionale, non c’è più tempo da perdere.

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