Dedicò la sua esistenza allo studio dei fatti che portarono il Piemonte alla ribalta internazionale nel panorama politico militare del 1700
Guido Amoretti, per tutti gli amanti della storia semplicemente “Il Generale” è stato un simbolo di piemontesità e un esempio di come una persona possa dedicare gran parte della sua vita allo studio della sua terra e delle vicende legate alle vicissitudini patite da chi ne è stato protagonista o da chi involontariamente le ha subite.
Guido Amoretti: la biografia
Nasce nel 1920 a Torino, il 18 dicembre di un freddo inverno che vede la città riprendersi lentamente dai postumi della Grande Guerra che ha coinvolto molti giovani e tutti i suoi ospedali, in particolar modo dopo la rotta di Caporetto,dove migliaia di sfollati delle zone occupate dalla spedizione punitiva Austroungarica, avevano cercato rifugio in diverse zone dell’alta Italia e tra queste, la prima capitale, l’amata Torino.
E’ un giovane alto, snello, di bella presenza e con una vivace intelligenza, rispettoso e cultore degli antichi ideali sabaudi che per secoli hanno caratterizzato la vita e le aspettative dei piemontesi, e come tanti suoi coetanei si arruola nell’esercito perchè crede in certi valori.
Sono anni in cui l’Italia vive un periodo complesso della sua millenaria storia, forse il più delicato e difficile, che sfocerà nel drammatico ventennio fascista, preludio ad una guerra civile che dividerà politicamente milioni di italiani, fino alla presa di potere da parte di Mussolini che porterà dopo pochi anni la nostra nazione in guerra.
Alla stessa partecipa anche l’Amoretti, dopo essere stato allievo della Regia Accademia di fanteria e cavalleria di Modena dal 1940 al 1942, sul fronte balcanico come comandante di plotone fino al 1943, anno in cui, dopo il drammatico 8 settembre, viene fatto prigioniero dei tedeschi e tradotto in un campo di concentramento nazista per ufficiali italiani,dove ebbe come compagno di baracca Giovanni Guareschi, il famoso scrittore della saga post bellica di Peppone e don Camillo che ispirò diversi film di grande successo, fotografando l’italia contadina appena uscita dal secondo conflitto mondiale.
Dal momento della cattura fino alla fine della guerra, visse la sua prigionia in alcuni campi in territorio tedesco, ma fortunatamente fece ritorno sano e salvo a Torino al termine del conflitto, dove riprese la carriera militare, con incarichi anche in ambito NATO, fino a raggiungere il grado di colonnello,per poi essere congedato con il grado di generale di brigata.
Una scoperta sensazionale
Guido Amoretti, però, è ricordato in particolar modo per una cosa, forse tra le più importanti che Torino ha nel suo speciale ed intimo Pantheon dei personaggi famosi, come il fatto di aver riportato alla luce i luoghi in cui il minatore Pietro Micca da Sagliano biellese, il piccolo muratore e soldato facente parte del reparto del capitano Andrea Bozzolino, suo comandante all’epoca, morì mentre cercava di ostacolare l’entrata di un reparto di guastatori francesi della galleria capitale alta in una calma notte dell’agosto del 1706, pochi giorni prima dell’arrivo del salvatore del ducato, ovvero quel principe Eugenio di Savoia che accorse in aiuto del cugino Vittorio Amedeo II, salvando la capitale sabauda dall’assedio delle truppe francesi di Luigi XIV al comando del La Feuillade.
Appassionato di archeologia militare
Amoretti, da sempre appassionato di archeologia militare, attratto da quelle antiche storie che nelle vie delle contrade cittadine ancora si raccontavano riguardo agli episodi avvenuti nei sotterranei della città, durante gli antichi assedi che Torino dovette subire nel corso dei secoli, fin dal suo ritorno in città ebbe modo di studiare e scoprire alcuni tratti delle antiche gallerie di contromina che erano state secoli addietro approntate per contrastare gli assedi provenienti dalle campagne circostanti, luoghi sotterranei che erano stati usati come rifugio antiaereo dai torinesi durante i bombardamenti alleati nel 1943, molti dei quali erano ora visibili, in quel dopoguerra dove la città cercava faticosamente di rinascere dalle macerie delle bombe, che però avevano, tra tanta tragedia, avuto almeno il merito di portare alla luce le vecchie gallerie di difesa militare attorno alla Cittadella.
Il giovane ufficiale ebbe l’intuito di seguire il suo istinto che lo portò in breve tempo a scoprire l’incredibile dedalo di gallerie in mattoni costruite dai genieri ducali a partire dallla fine del 1500 fino al fatidico 1706, portando alla conoscenza dei torinesi un passato di cui tanto si era parlato, ma che fino al 1958 nessuno conosceva: circa 23 chilometri di gallerie sotterranee posizionate intorno alla campagna che abbracciava l’allora città e che ancora oggi, a distanza di sessant’anni, non ha svelato tutti i misteri di quell’apparato bellico difensivo che gli ingegneri di quei secoli furono in grado di approntare per cercare di mettere al sicuro Torino da attacchi esterni.
Il sacrificio di Pietro Micca
Guido Amoretti in breve tempo seppe valorizzare e far capire l’importanza della scoperta, nobilitata anche dal fatto che si individuò il punto esatto in cui Pietro Micca fece brillare la mina posta nel fornello adiacente alla porta ferrata che il reparto di assalitori francesi stava cercando di abbattere per penetrare nel sistema sotterraneo difensivo che portava nel cuore della Cittadella, comandata all’epoca dal Solaro Dalla Margherita, colui che vergò il rapporto sui fatti avvenuti nella galleria presidiata dal Micca, anche basandosi sul racconto del suo camerata che ebbe salva la vita grazie al sacrificio del primo, che secondo alcuni, strappò la miccia dalle dita tremolanti del suo compagno piu’ giovane,dicendogli «sei più lungo di una giornata senza pane, va, lascia fare a me, mettiti in salvo».
Grazie ai riscontri di questi racconti si ebbe modo di individuare anche il punto esatto dove fu trovato il corpo del Micca, che cercando a sua volta di mettersi in salvo, fu però investito dall’onda d’urto dell’esplosione che lo scaraventò sulle pareti della galleria, con effetti devastanti sul suo corpo. Naturalmente nessuno saprà mai come andarono effettivamente le cose quella notte, gesto eroico od errore umano, sta di fatto che Torino fu salva. Pietro Micca divenne eroe, già a partire dal racconto dell’assedio descritto dal Tarizzo nel suo libro stampato nel 1707 e come tutti gli eroi che si rispettano divenne un'icona della vecchia capitale sabauda: ancora oggi Torino è ricordata principalmente per tre cose tre,: Pietro Micca, la Mole Antonelliana e la Fiat e Guido Amoretti aveva scoperto il tratto di storia più caro ai torinesi riguardante l’assedio del 1706, grazie al riemergere di quelle famose gallerie di mattoni rossi.
Inaugurazione del museo "Pietro Micca"
Nel 1961, nell’ambito dei festeggiamenti del centenario dell’Unità d’Italia, viene inaugurato il museo dedicato a Pietro Micca e dell’assedio di Torino in via Guicciardini, nel luogo in cui nel 1706 una batteria di cannoni francesi batteva la breccia della cittadella posta a non molta distanza e Guido Amoretti ne fu il direttore, fino alla sua scomparsa, il 14 luglio del 2008.
Ricordo con piacere l’amicizia con questo grande personaggio, autore di una grande opera letteraria divisa in diverse pubblicazioni, dal titolo "Il Ducato di Savoia dal 1559 al 1713", una grande rivisitazione dell’epopea sabaudo-piemontese a partire da Emanuele Filiberto “Testa di Ferro” al primo Re di Sardegna Vittorio Amedeo II.
Nel 1994 viene insignito dell’onorificenza francese di Cavaliere dell’Ordine delle Palme accademiche per il suo operato in ambito storico.
I ricordi dello storico
Grande la sua attenzione verso la fortezza di Volpiano e la ricostruzione storica dei fatti bellici che portarono alla sua distruzione da parte dei francesi comandati dal Brissac nel 1555, onorando la comunità volpianese della sua presenza sia come esperto di archeologia militare durante il sopralluogo ai ruderi, sia in occasione della presentazione al pubblico del libro dedicato alla caduta di questo importante baluardo imperiale dal titolo “Agguati ed assedi”,scritto dal dottor Anselmo,ove venne in modo particolare apprezzato il suo intervento, nel racconto orale della campagna militare di quel periodo. Dove dimostrò un eccezionale carisma nel far partecipe l’ascoltatore, per il suo modo unico e raro di dialogare con il passato.
Da ricordare anche la volta in cui venne in visita a Caluso, nell’archivio storico, per studiare i disegni del canale del Brissac, che nella seconda metà del 1500 furono un'importante opera idrica a favore delle coltivazioni di un largo tratto della pianura del basso canavese: per l’occasione fummo accolti dallo storico del luogo, professor Actis, assieme al sindaco di Volpiano dell’epoca Francesco Goia ed alcuni membri dell’ Associazione storica Gruppo Amici del Passato, sodalizio che un anno dopo la morte del Generale Guido Amoretti, nel 2009, intitolò la sala studio della sede associativa di Palazzo Oliveri in Volpiano, in presenza della figlia Carla, a questo grande personaggio della storia e cultura piemontese che avevamo avuto l’onore di conoscere ed apprezzare.
Un omaggio non solo allo studioso, ma in particolare al suo modo di porsi di fronte alle persone, con sobria umiltà, corredata da quell’educazione che solo gli animi della gente di un passato ormai lontano ha l’intelligenza di custodire nel profondo del cuore, facendoci sentire tutti protagonisti, nessuno escluso, nel racconto del tempo che fu.