A scriverla, Elisabetta di Sassonia, madre della regina Margherita di Savoia
Il 25 aprile 1905, a Roma, una attempata principessa tedesca da svariati anni in Italia, scrive una lettera molto particolare e affettuosa ad un amico di famiglia.
La nobile dama è la madre della regina Margherita di Savoia, Elisabetta di Sassonia, duchessa di Genova, vedova di Ferdinando di Savoia fratello del primo Re d’Italia Vittorio Emanuele II, e scrive la missiva dal palazzo che ospita la figlia Regina Madre, vedova di Umberto I assassinato a Monza nel 1900.
Il destinatario è lo scienziato Piero Giacosa: la lettera è indirizzata presso la sua abitazione di Colleretto Parella, a due passi da Ivrea. Non è famoso come il fratello Giuseppe, commediografo, librettista e indiscusso protagonista della vita culturale italiana della seconda metà del 1800. La sua preparazione scientifica e la grande cultura personale che abbraccia molteplici arti non bastano a farlo salire sullo stesso gradino di notorietà del primogenito di questa famiglia, che un secolo prima si trasferisce in Canavese proveniente dalle Langhe. Figli di Guido e Paolina Realis, avranno per tutta la vita un profondo rispetto per la loro terra di adozione in quel di Colleretto ma in particolare per la gente del Canavese.
Piero nasce nel 1853, e fin da bambino ha un particolare interesse per la montagna e la sua natura. Si laurea presso la facoltà di Medicina e chirurgia in Torino nel 1876, continuando gli studi di specializzazione a Roma, Berna e Strasburgo, fino ad essere nominato nel 1881 assistente all’istituto di fisiologia di Torino per poi passare all’insegnamento ed alla direzione del laboratorio di farmacologia della stessa città nel 1882.
Allievo ed amico di Fogazzaro e Carducci, completa la sua preparazione culturale con lo studio musicale, ma in particolar modo nell’arte di descrivere i paesaggi alpini tanto che già in gioventù, allievo del pittore Fontanesi, viene notato da Vittorio Emanuele II e dallo stesso chiamato ad illustrare il campo reale di Valsavaranche dove il Re d’Italia amava ritirarsi per le sue famose battute di caccia in alta montagna.
La lettera viaggia per ferrovia e quando giunge a destinazione, “al Professore Piero Giacosa”, sono passate solo 24 ore dalla sua spedizione, segno questo che dimostra che le Regie Poste erano all’epoca molto efficienti. Elisabetta si scusa per aver risposto in ritardo agli auguri del Giacosa: «...ho aspettato di rispondere alla sua lettera fin che l’orribile sciopero fosse veramente cessato». I tempi erano, evidentemente, grami già all’epoca, tanto che anche la Corona aveva i suoi pensieri e si temevano attentati al Re, come infatti poi avvenne qualche anno dopo, ad opera di un giovane manovale di nome Alba che esplose alcuni colpi di pistola, andati fortunatamente a vuoto, verso Vittorio Emanuele III mentre questi si recava in visita al Pantheon.
La Principessa si lamenta del clima freddo, dei «caloriferi spenti da lungo tempo, del vento e degli spifferi che penetrano da porte e finestre che non chiudono bene», ma anche del suo rapporto con l’ambiente romano: «Giovedì partirò - molto probabilmente per la sua residenza preferita di Stresa dove morirà il 14 agosto 1912 -ma la sera prima ci sarà l’ultimo concerto - a Palazzo - e spero sia bello come i precedenti». Poi una confidenza molto particolare che esprime un disagio umano profondo: «Malgrado la felicità di stare con mia figlia - la Regina Madre Margherita - sarò molto più felice di ritornare nella mia quiete con gli amici intorno a me. Qui ho tante conoscenze, ma amici no». La parte più curiosa ed interessante, però, è quella che segue: «Ieri feci ancora un concerto orchestrale diretto da Mascagni. Era tutta musica moderna e per me noiosa. Troppo chiassosa, trovo che non c’è nessun…… Speriamo che i grandi concerti a Torino saranno più interessanti». Erano ancora lontani, gli umani di allora, a pensare i concerti rock negli stadi di oggi, e se quelli di quel grande maestro Mascagni erano «chiassosi», figuriamoci le facce ed i giudizi dei nostri bisnonni !
Ancora poche righe dove Elisabetta scrive: «Mia figlia mi incarica dei suoi saluti e ringraziamenti e nella speranza di rivederlo presto a Torino mi dichiaro sempre la sua affezionata Elisabetta».
Piero Giacosa, dopo aver trascorso la vita negli studi e nella ricerca scientifica, morirà nel 1928 non prima di aver ottenuto importanti successi tali, ad esempio, da poter indurre la fondazione Rockfeller a contribuire economicamente all’allestimento di nuovi e moderni laboratori di ricerca per le facoltà mediche nei siti in cui lo scienziato canavesano operò con grandi risultati.
Della Principessa e dello scienziato oggi rimangono i ricordi un po’ sbiaditi di due figure che invece furono immensamente grandi, due vite quasi “nascoste” al pubblico perché sovrastate da famigliari più famosi ma certamente non per questo motivo più importanti... e questa lettera di cartoncino azzurro ove le parole vergate con sinuosa semplicità, rimarrà nel cuore di chi oggi ha il privilegio di tenerla fra le dita e leggere con discrezione sentimenti e pensieri ovattati nel silenzio di un passato che mai ritornerà.