Mar, 12 Nov, 2024

La violenza non è amore. Al primo campanello d'allarme bisogna fuggire. La toccante testimonianza di Filomena

Una storia che entra nell’anima di ciascuno. E' la vicenda che ha come protagonista Filomena Lamberti, la prima donna sfregiata dall’acido dal suo ex marito, nel 2012. 

Una storia che mercoledì 6 novembre, Filomena ha reso come testimonianza al pubblico venariese, nella sala polifunzionale della Biblioteca Civica Tancredi Milone. Presenti il sindaco Fabio Giulivi, l'assessora Paola Marchese e la  consigliera metropolitana Rossana Schillaci e molti altri rappresentanti dell'Amministrazione cittadina.

Per i circa 30 anni di matrimonio, Filomena è stata considerata da suo marito una “proprietà”: ha controllato con chi parlava al telefono, ha subito pressioni psicologiche e violenza economica.  Una relazione tossica a tutti gli effetti  a cui lei ha voluto porre fine attraverso una semplice separazione. Un marito violento e possessivo che il 28 maggio 2012 le ha scagliato in faccia l’acido solforico che usavano durante le ore di lavoro in pescheria.

«Quello che per anni avevo scambiato per amore, in realtà era possessività e violenza - ha raccontato - Ricordo ancora quando la notte dell'aggressione mi ha detto "Guarda che ti do". Poi le urla e il dolore e quel vicino di casa che mi ha portata in ospedale, visto che il mio aguzzino aveva nascosto le chiavi dell'auto, impedendo a mio figlio di potermi accompagnare». 

Un momento cruciale e doloroso che segna la svolta nella vita di Filomena con la denuncia e la condanna di quell'uomo violento ad appena 18 mesi grazie al patteggiamento e che ne ha scontati solo 15 per buona condotta. Poi il libro "Un'altra vita", autoprodotto e scritto in collaborazione con l'associazione Linearosa Spazio Donna del centro antiviolenza di Salerno, di cui fa parte, presentato durante la serata.

A cosa si riferisce il titolo?

«E' la mia testimonianza - risponde -. La mia capacità di rinascita e di riacquisizione della libertà personale. Ora viaggio e non ho più paura di parlare con le persone. Ed è anche libertà economica. Ho 67 anni e ne ho riavuti 12. La mia vita ora è cambiata e sto facendo volontariato nel Centro anti violenza».

Quando ha avuto la forza di liberarsi dalla schivitù di un uomo violento e possessivo?

«Sono state le parole di mio figlio a darmi quella forza. Avevo paura di non riuscire a farcela da sola  a crescere i miei figli, ma ho trovato la forza di andare avanti, di vincere la paura, fino a denunciarlo».

Nel libro parla delle violenze subite. Qual è il messaggio che vuole lasciare alle donne che ancora vivono la situazione che lei ha subito per tanti anni? 

«Le donne non devono sopportare, devono scappare al primo schiaffo. Un’altra forma di violenza che si riceve è la violenza economica e quella assistita, sui minori. Le donne devono trovare la forza di denunciare anche se non hanno un lavoro. Quello lo si trova. E poi studiate e impegnarsi per essere indipendenti». 

Nel percorso che ha fatto, ci sono state persone che l’hanno aiutata? Quanto è importante appoggiarsi ad una rete di persone solidali?

«Farsi aiutare è fondamentale. Io mi sono rivolta al centro violenza Spazio Donna, dove persone competenti possono offrire aiuto psicologico e anche supporto. Senza il loro aiuto non riesco neppure ad immaginare come avrebbe potuto esse questa mia "altra vita"».

Violenza e possessività, come ci dimostra l'attualità quotidiana dipendono da una società patriarcale ancora patriarcale? La scuola può fare qualcosa in questo senso?

«Credo molto dipenda dalle famiglie. Se a scuola un bambino viene ripreso dalla propria insegnante, oggi i genitori l’aspettano fuori e difendono il loro figlio senza neppure chiedere perchè sia stato ripreso. Come potrà mai crescere questo bambino o ragazzo? Sarà incapace  un no. Prima di tutto bisogna rieducarele famiglie e poi introdurre un’educazione sentimentale che insegni il rispetto. Molte ragazze e giovani donne oggi non riescono a capire che l’amore non è possessività e nemmeno gelosia».

All’epoca, la pena per suo marito è stata ridotta di tre mesi. Cos’è cambiato e quanto ancora c’è da fare?

«Attualmente è attivo il codice rosso, ma non basta. E' indispensabile agire prima che il fatto avvenga, non quando è troppo tardi. È importante assicurare un coordinamento degli interventi e adeguate risorse ai centri violenza. Poi le parole sono importanti e non devono sminuire l’accaduto e nemmeno sottovalutare la narrazione della donna durante il processo. Il mio libro vuole essere un monito per tutto questo».

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