C’è voluto meno di un giorno perché le parole di Mauro Esposito, pronunciate ieri sera giovedì 4 luglio in aula consiliare, rimbalzassero fuori da Palazzo Civico come schegge impazzite. Eppure la maggioranza che governa Caselle è rimasta in un silenzio tanto “religioso” quantocolpevole. A spezzare la quiete è stato – di nuovo – il sindaco Giuseppe Marsaglia, che aveva già vergato una lettera piccata al presidente della Tazzina della legalità, Sergio Gaglianese, per rivendicare l’impegno “antimafia” della città e, soprattutto, per trascinare di nuovo sul tavolo quel velenoso dossier di attriti personali con lo stesso Esposito.
«Sul piano personale non sono più cristiano non riesco più a porgere l’altra guancia», ha rimarcato il primo cittadino. Traduzione: la dialettica democratica finisce quando comincia il risentimento privato. Peccato che quei “fatti personali” – addotti come alibi per disertare la serata del 14 giugno, scatenando un polverone tutt’altro che edificante – restino tuttora un mistero. E sì, ormai l’esortazione a renderli pubblici non è solo una curiosità giornalistica: è l’unico modo per far voltare pagina a una comunità intera.
Aula o tribunale?
A rincarare la dose è intervenuto l’ex sindaco Luca Baracco, attuale consigliere di opposizione, chiamato in causa per “fatto personale” che ha ricordato che la sala del Consiglio è, appunto, un’aula politica e non un tribunale. Verrebbe da rispondere che, vista la gravità delle accuse lanciate e l’opacità delle difese offerte, magari un giudice terzo non sarebbe poi una cattiva idea.
Baracco ha definito «puerile» Esposito per aver bollato l’assenza in quella famosa sera in sala Cervi come “assist alla mafia”. E ha srotolato il proprio “scontrino” di iniziative per la legalità: marce, convegni, progetti scolastici, fino all’intitolazione della sala consiliare di Mappano a Lea Garofalo. Intitolazione che, vogliamo ribadire, non fu un parto dell’Amministrazione casellese da lui allora guidata, che, anzi, procrastinò il nulla-osta per mesi, bensì di un gruppo di cittadini volenterosi che si autotassarono per portare nell'allora frazione Marisa Garofalo. A proposito di verità...
Fin qui, cronaca. Poi l’inutile stoccata finale di Baracco: «Quest’anno non sarò al Colle del Lys per commemorare i partigiani. Vuol dire che sono diventato fascista?». Domanda retorica, risposta superflua, gaffe assicurata. Bastava evitarla.
Politica o faida?
Il punto vero è che, al netto di proclami e controdeduzioni, la cittadinanza continua a non sapere di che cosa, esattamente, si accusino Marsaglia ed Esposito. E continua a non capire perché chi guida il Comune - dal sindaco all'ex primo cittadino - sembri più preoccupato di contabilizzare i propri meriti che di sgomberare il campo da ombre, sospetti e rancori personali.
Nel frattempo, l’unica vittima certa di questo duello rusticano è la parola “legalità”, brandita come clava quando serve - per autoassolversi o delegittimare l’avversario – e subito riposta quando la discussione diventa scomoda. Se davvero «il problema è personale», lo si dica. Se invece riguarda il modo in cui Caselle affronta (o non affronta) la presenza della criminalità organizzata sul territorio, allora servono fatti, non emoticon di indignazione.
Perché – chiediamocelo – un sindaco che dichiara di non poter più «porgere l’altra guancia» pretende di guidare una città al di sopra delle parti? E perché l'ex sindaco, quando chiamato a spiegare ritardi e scelte discutibili, preferisce rifugiarsi nella contabilità delle inaugurazioni invece di accettare un confronto pubblico, aperto, documentato?
Finché non arriverà una risposta limpida, l’unico suono percepibile sarà quello di un silenzio che urla. E più che a un Consiglio comunale, Caselle somiglierà a un salotto dove ognuno alza la voce per non far sentire la propria coscienza.
Dieci anni di silenzio su viale Bona
Non poteva, comunque, mancare la stilettata del consigliere Endrio Milano (Progetto Caselle 2027), organizzatore di quella serata su mandato del sindaco, che in aula ha ricordato come l’Amministrazione abbia impiegato dieci lunghi anni prima di chiedere l'assegnazione della villetta confiscata alla criminalità organizzata in viale Bona. Una richiesta partita soltanto dopo una sua interrogazione, lo scorso autunno, un mese prima che l'immobile tornasse all'asta e rischiasse di finire di nuovo nelle mani dei clan tramite prestanome. Diciamolo per amore della verità il sindaco Marsaglia si è mosso con tempestività; chi ha dormito per un decennio è stato Baracco
Il boicottaggio del 14 giugno
Milano ha poi bollato come «vero e proprio boicottaggio» l’assenza di 14 consiglieri su 17 alla serata del 14 giugno, un vuoto cui si sono sommati quello delle forze dell'ordine, dei vigili del fuoco, della protezione civile e di quasi tutte le associazioni cittadine.
A prendere la parola, quella sera, era stato il vicepresidente del Consiglio Andrea Fontana (Caselle Futura), che ha spiegato di aver portato i saluti istituzionali «per salvare la faccia dell’Amministrazione, ma soprattutto della città». In Consiglio Fontana ha denunciato «un clima non bello e non sereno» e ha respinto al mittente l'accusa di palcoscenico politico: «La vostra assenza e il vostro silenzio hanno urlato più di tante parole. È ora di voltare pagina, di unire anziché dividere, mettendo da parte fatti personali e antipatie».