Ven, 29 Mar, 2024

Clima: la vita delle api è sempre più in pericolo. Hanno un ruolo cruciale nella produzione di cibo

Clima: la vita delle api è sempre più in pericolo. Hanno un ruolo cruciale nella produzione di cibo

Il loro declino minaccia seriamente la sicurezza alimentare mondiale

Lo stress indotto dal clima degli ultimi anni è la principale causa del declino delle popolazioni di api nel mondo. Lo suggerisce una ricerca dell’Università degli Studi di Milano.

Risale a Ippocrate la prima considerazione degli aspetti climatici sulla salute dell’uomo. Per il fondatore della Medicina, perfino l’esposizione di una città, i venti dominanti, le stagioni, avevano un effetto generale sulla salute. Molto più recentemente, il Phoen è stato correlato con le statistiche sugli incidenti stradali, perché questo vento caldo influiva sui livelli di attenzione degli automobilisti più delle piogge o della neve. Stessa evidenza a Milano, dove il numero minimo di incidenti è nei periodi piovosi e massimo in quelli ventosi.

Quindi il clima va inteso soprattutto come una fonte di stress che influisce sui nostri comportamenti, sulle nostre forze, sul nostro sistema immunitario. Ma i cambiamenti climatici hanno influenze anche su di una miriade di fenomeni differenti, amplificandone o comprimendone le manifestazioni. Dalla biodiversità al turismo, dall’agricoltura all’approvvigionamento idrico. Le teorie allarmistiche sul futuro del mondo si scontrano ovviamente con quelle tendenti a minimizzare. L’ape può essere considerato un micromodello biologico aperto, idoneo allo studio delle interazioni con il clima.

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La moria di api nelle colonie implica, come anomalie, la scomparsa immediata degli adulti, ma con assenza di cadaveri negli alveari. Favi, miele e polline sono in ordine all’interno nelle arnie. L’ape regina appare in perfetta forma, anche per l’ovideposizione, ma resta privata delle api che l’accudiscono.
Tutti eventi ancora da spiegare debitamente. Si deve comunque tenere conto anche delle alterazioni del campo magnetico terrestre e delle influenze di campi elettromagnetici prodotti dalle attività umane. Come pure l’eventuale influenza di tutti gli agenti chimici immessi dall’uomo nell’ambiente.
La ricerca è stata condotta su due serie storiche di dati, fino al 1850: da fine XIX sec al 2008 la temperatura media è aumentata di circa 1,3 °C. Soprattutto i mesi di fine inverno e di fine autunno hanno mostrato innalzamenti significativi. Perdite simili di colonie risalgono in bibliografia al 1868, quando già si segnalavano casi di questo tipo (Tennessee USA). Nel corso del XIX secolo se ne sono ripetuti svariati, come pure negli anni ’60 e ’70, quasi ci fosse una ciclicità temporale. Soprattutto l’emisfero nord è interessato al fenomeno. Questo anche perchè alle nostre latitudini si sono avuti gli innalzamenti più marcati di T° media soprattutto negli ultimi 10 anni. Si è evidenziato un anticipo della primavera, della fioritura, della migrazione degli uccelli e della deposizione di uova. Per le api sono ipotizzabili degli sfasamenti nei cicli, con anticipi marcati dei voli, a volte non in linea rispetto alla presenza di pollini e nettare. L’inverno 2006-2007 è stato tra i più caldi degli ultimi decenni. I fenomeni di riduzione delle popolazioni sono partiti in modo evidente proprio dopo quell’inverno. Inoltre, con le covate precoci, e addirittura con quelle invernali, si favoriscono più cicli di Varroa, un parassita delle api. Anche le difese immunitarie giocano un ruolo fondamentale: un processo di stress inizia con una fase di adattamento, poi si passa alla compensazione, si arriva infine al collasso dei sistemi. L’ape, contro lo stress, ha una forma di automedicazione appena inizia i voli: il sambuco, con forte potere antinfiammatorio. Il disallineamento dei cicli potrebbe aver anche ridotto questa “cura” di inizio ciclo. Lo studio conclude che il fattore clima abbia contribuito per almeno un 50% sulla moria delle api, sensibilizzando in modo profondo le popolazioni verso tutti gli altri fattori, incluso quello chimico.

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