In Consiglio regionale del Piemonte ieri, martedì 9 giugno, è andato in scena uno scontro politico che, dietro l’apparente accordo sull’abrogazione di una legge, ha rivelato profonde divergenze di visione sulla gestione futura della sanità pubblica. Da una parte la maggioranza di centrodestra, che ha approvato la cancellazione dell’articolo 23 della legge regionale 22/2012, dall’altra l’opposizione e i promotori del referendum, che denunciano una «presa in giro istituzionale».
Il caso: abrogata la norma regionale del 2012
Il nodo del contendere è la possibilità, concessa dalla norma abrogata, per le ASL di creare società miste pubblico-private per la gestione dei servizi sanitari. Sebbene questa possibilità sia prevista anche dalla legge nazionale (D.Lgs. 502/1992), in Piemonte era oggetto di una norma specifica dal 2008.
A chiedere l’eliminazione della norma era stato anche un comitato referendario, che aveva raccolto oltre 5.000 firme, spingendo così la Giunta a muoversi per l’abrogazione. Ma per Alice Ravinale, consigliera regionale di Alleanza Verdi e Sinistra, quella che si è appena consumata è solo una manovra di facciata.
«Cirio abroga senza sforzo la legge regionale – accusa Ravinale – ma si tiene le mani libere per nuove sperimentazioni gestionali. Il mio ordine del giorno che chiedeva un impegno esplicito contro future società miste è stato bocciato».
Centrodestra: «Evitiamo un referendum inutile»
Di tutt’altro tono la narrazione della maggioranza. «Con questa abrogazione – dichiara Carlo Riva Vercellotti, capogruppo di Fratelli d’Italia – evitiamo un referendum costoso e fuorviante, che avrebbe sprecato 30 milioni di euro» A suo dire, il provvedimento mette fine a una norma nata dalla sinistra stessa (la legge Bresso-Artesio del 2008), che ha dato luogo a “fallimenti gestionali” come l’ospedale privato di Settimo Torinese.
Anche il consigliere Davide Zappalà (FdI) sottolinea il carattere superfluo del referendum: «È il referendum più inutile della storia, perché la materia è già regolata dalla legge nazionale. Abbiamo detto no allo spreco di denaro pubblico per fini ideologici»
Le opposizioni: «La sanità pubblica resta a rischio»
Ma per le opposizioni, il cuore del problema non è la sola abrogazione della norma, quanto la mancata volontà politica di blindare il principio della gestione pubblica. Il Partito Democratico, per voce del consigliere Mauro Salizzoni, lamenta che l’abolizione della legge non sia stata accompagnata da un impegno concreto contro il ricorso a forme di privatizzazione indirette: «Adesso serve ridurre il lavoro privato nella sanità pubblica, dai gettonisti ai contratti multiservizi. Ma il centrodestra si è limitato a togliere un comma, senza mettere in campo un progetto di riforma trasparente e condiviso».
Il nodo ideologico e il futuro della sanità piemontese
Il dibattito si è acceso anche sui toni e le modalità del confronto. Accuse incrociate, sedute infuocate, parole forti da entrambi gli schieramenti. Il clima politico riflette quanto la sanità sia terreno di battaglia simbolica e concreta. Il centrodestra rivendica pragmatismo e risultati – come il “salvataggio” dell’ospedale di Settimo – mentre le sinistre vedono una deriva opaca e privatistica sotto le spoglie dell’efficienza.
In mezzo, resta la legge nazionale che, come ricordato anche dalla maggioranza, consente tuttora le sperimentazioni miste. La battaglia, dunque, è tutt’altro che conclusa. La questione fondamentale – quale spazio per il privato nella sanità pubblica piemontese – è solo stata rimandata. E il dibattito pubblico che il referendum avrebbe innescato è stato evitato. Non senza polemiche.