E tante domande che resteranno per sempre senza risposta
Salvatore Baiardo, noto come il gelataio di Omegna, che in passato scontò 4 anni di carcere per aver aiutato i fratelli Graviano nella loro latitanza, intervistato da Massimo Giletti tempo fa in occasione di una puntata del programma televisivo de La 7, “Non è l’arena”, aveva già detto tutto su cosa sarebbe avvenuto nel futuro prossimo dell’uomo più ricercato d’Italia.
Tranquillamente intervistato in riva al lago d’Orta, questo signore di mezza età, capelli bianchi, lunghi alla moda, curati, come la barba che incornicia un viso di un pacioso nonnino, di quelli buoni, quei tanti che accompagnano i nipotini in gita sulle sponde di uno specchio d’acqua illuminato da una splendida giornata di sole, aveva parlato con estrema lucidità e pacatezza di un presunto colpo di scena in ambito malavitoso, che avrebbe riguardato una presunta trattativa tra lo Stato Italiano ed il superlatitante Matteo Messina Denaro, per una sua volontaria consegna alle patrie galere in cambio di un'attenuazione della pena riservata ai mafiosi considerati più pericolosi - leggi fratelli Graviano - riguardante l’ergastolo ostativo, che di fatto isola completamente il detenuto dagli affetti più intimi della sua vita privata, comunemente chiamato 41\bis.
Senza batter ciglio, si era spinto anche a dire che poi, tutto sommato «è gente giovane, quella in carcere, non così becera come descritto dalla stampa popolare, quindi meritevole di abbracciare la famiglia, di riunirsi qualche volta ai loro cari» senza pensare invece alle molte rese orfane e abbattute dal sistema mafioso.
Motivazione di questo gesto clamoroso, una presunta trattativa da tempo in corso, secondo le mezze parole e gestualità di questo alquanto strano gelataio, sarebbe stata da ricondurre ad una grave malattia che da tempo affliggeva il boss mafioso in fuga dal mondo civile. Il momento giusto, quindi, per una resa onorevole. Un “regalino” al nuovo Governo da poco insediato.
Lo stesso Baiardo aveva anche sottolineato, neppur velatamente, che il tutto sarebbe avvenuto in un clima di grande clamore mediatico. Nulla sarebbe stato lasciato al caso. Stiamo parlando dello stesso soggetto che in una intervista passata aveva dichiarato che le copie della rossa agenda del giudice Borsellino erano diverse ed in diverse mani. Un individuo, quindi, alquanto ben informato e tranquillamente libero.
Strano vero? Forse in un Paese normale, ma non certo nel nostro Stivale.
Quando ho sentito questa intervista, ho sperato fino all’ultimo, come l’ultimo degli ingenui, scusate il gioco di parole, che la notizia appena vista e sentita, fosse uno dei tanti falsi scoop che popolano quotidianamente le nostre italiche antenne televisive, sapendo però molto bene, che nel nostro Bel Paese, tutto è possibile, perchè tutto relativo e assurdo.
Così assurdo ad esempio, da vedere sepolto all’interno di una splendida chiesa romana un certo Enrico De Pedis, noto boss morto sparato, del clan della Magliana, legato pare anche alla scomparsa di Emanuela Orlandi, quasi fosse in attesa di beatificazione ed oggi rimosso senza vergogna, verso un più umile cimitero di borgata. Di conseguenza qualche dubbio mi è spuntato nella mente, visto che non possiamo neppure più fidarci delle casule riverenti lo Spirito Santo.
Sentirsi sereno in questo preciso istante non è facile: questo è uno dei momenti in cui una persona sente nel proprio intimo il dovere, per difendersi da un certo mondo che purtroppo rappresenta lo Stato, di fingere di essere un asino, per evitare di essere infastidito dallo stesso, perchè dimostrare intelligenza, spesso e volentieri diventa molto pericoloso, in una Italia che mostra una faccia, mentre il profilo è l’esatto opposto, e come ben si sa, non esiste difesa contro un sistema politico ed economico dove corruzioni e paure convivono ormai da troppo tempo a braccetto, prive di un antitodo che nessuno ha il coraggio di inventare.
Questa mia deduzione, del tutto personale, arriva all’indomani dell’arresto di Matteo Messina Denaro, in sito sanitario palermitano, dove spesso il super ricercato si recava per sedute di chemioterapia, per curare un cancro al colon che lo affliggeva da tempo. Al momento dell’arresto non aveva neppure un euro, ma al polso un orologio del valore, così dicevano i telegiornali, di trentamila euro. Nessuna resistenza a pubblico ufficiale, si è dichiarato subito con il suo vero nome, perchè dopo cotanta presunta trattativa non ci possono essere errori e si deve fare tutto bene perchè tutti possano fare bella figura, i cattivi come i buoni, come si presume dalle parole di Baiardo, come pare preventivamente concordato e poi, casualmente avvenuto.
La domanda che un finto asino si porrebbe a questo punto sarebbe: ma se questo signore era da tempo seguito, filmato, certificata la figura ed il profilo, ormai tranquillamente appurato che si trattava senza ombra di dubbio del soggetto ricercato, perchè arrestarlo in un luogo pubblico che più pubblico non potrebbe essere, come l’uscita di una clinica privata e non invece a casa sua perquisendo immediatamente il sito?
Il criminale che nulla ha da perdere, accusato delle stragi di Falcone e Borsellino, per tacere del modo in cui, secondo alcuni, uccise un bambino facendo sciogliere il suo corpo nell’acido, un tizio che rischia tanti ergastoli, quanti denti ha in bocca, non potrebbe essere armato? E se lo fosse, chi garantirebbe nel momento dell’arresto della sua loquacità, nel non estrarre un’arma e sparare all’impazzata, per poi vedersi perso e magari suicidarsi, per evitare l’onta dell’arresto e quindi della sconfitta personale e di un sistema al quale lui appartiene? Chi era sicuro di questo, conoscendo l’indole e la crudeltà dell’individuo? Per non parlare di chi l’aveva accompagnato nel tragitto all’ospedale, che poteva anche lui essere armato. E' forse sbagliato farsi queste domande?
Oppure, Dio non voglia, era già tutto scritto? Come fece intendere qualche tempo fa il gelataio di Omegna al microfono di Giletti.
Ecco che forse il connubio tra Stato e mafia allora è più di una ipotesi, un’onda lunga che, raccontata così come ci è stata presentata, ha lo scopo di benevolmente impressionare l’opinione pubblica, nel suo modo di essere credibile facendo vedere una realtà che forse non esiste, ma che forzatamente deve essere inculcata nelle menti delle genti che vivono in un Paese dove parte delle Istituzioni ormai da anni convivono con una criminalità che non è più quella rusticana ed ignorante dei vecchi boss mafiosi, se mai lo è stato in passato e non lo credo, ma una organizzatissima e credibile rete economica finanziaria che ormai ha profonde radici nel tessuto sociale di tutto lo Stivale e nel mondo.
Una rete complessa di affari nati dal riciclaggio di soldi sporchi di sangue provenienti da una miriade di azioni criminali, che ha divelto in molti casi l’economia sana, sostituendola con aziende controllate dai boss per mezzo di stimatissimi colletti bianchi, indicati a rappresentarli, creando quindi, una economia credibile, sana, integrata, perchè sempre perfettamente sostenibile, su cui si basa il benessere di determinati territori, che ripagheranno attraverso un voto di scambio, ove occorresse, ma forse non serve più nemmeno questo.
Si badi bene, tali realtà, non sono solo presenti al sud, ma in particolare al nord, dove il denaro circola velocemente, cosa questa che piace molto alle mafie tutte.
Spiace vedere la Presidente del Consiglio affrettarsi a posare davanti alla lapide di Falcone e della sua scorta trucidati a Capaci. Fa male notare con quanta cura gli inquirenti hanno riscostruito per i media le azioni che hanno portato, secondo la presentata loro lettura, all’arresto di Messina Denaro, imbarazzante l’intervento di Nordio Ministro dell’Interno, di fronte ad uno sparuto gruppetto di parlamentari che applaudivano lo stesso al termine del suo sunto dell’operazione. Triste vedere tanti servitori dello Stato costretti forse a chinare la testa di fronte ad evidenze nascoste.
No, non è stato un bel giorno quello dell’arresto di Matteo Messina Denaro, per i tanti, troppi interrogativi che lo Stato deve dare conto e non sarà mai in grado di fare, semplicemente perchè non può e non vuole, sicuro che presto o tardi l’opinione pubblica dimenticherà, metabolizzando anche questa ennesima umiliazione.
Oggi ho sempre meno certezze rivolte alla fiducia, che si tramuta in paura, in particolare per il futuro dei nostri giovani, di istituzioni che dimostrano l’impotenza di uno Stato che ormai nulla può contro la corruzione di se stesso, perchè non è tanto la capacità criminale che spaventa, ma l’incapacità conclamata in cui si muovono goffamente da anni i nostri governanti, prigionieri di un passato che continua a far paura, di ricatti di chi ha in mano le copie della famosa ed introvabile agenda rossa che il giudice Borsellino aveva con sè nel momento in cui saltò in aria con la sua scorta a Palermo, davanti alla casa di sua madre
Qualcuno si domanda cosa potrebbero pensare Falcone, Borsellino, Chinnici e tutti coloro che hanno perso la vita per mano mafiosa, di questo modo di operare che, ascoltate le parole di Baiardo, tutto forse era già stato scritto?
E se mettessimo ora, a confronto, quest’ennesimo epilogo, diciamo alquanto bizzarro, con la famosa puntata del Maurizio Costanzo Show del 26 settembre 1991, ove un isolato Giovanni Falcone venne massacrato verbalmente sia dai finti amici in sala, primo fra tutti dal giurista Galasso e da un invasato Totò Cuffaro, elevato in seguito senza imbarazzo alcuno a senatore della Repubblica, poi condannato a 7 anni di reclusione per favoreggiamento personale nei confronti di persone legate a Cosa Nostra, in collegamento esterno da una osannante platea palermitana, a quali conclusioni potremmo adivenire, sapendo la tragica fine del giudice antimafia poco tempo dopo, di sua moglie, della scorta, delle genti rese orfane, di tanti altri delitti impuniti?
Gli diciamo che il loro boia abitava tranquillamente a Palermo e si è consegnato perchè malato terminale, dopo aver già da tempo, delegato le competenze di capomafia ad altri, in assoluta tranquillità?
La mafia ancora una volta ha vinto dettando le sue condizioni, tanto che non serve oggi sentire cosa dicono gli esperti ai mass media, perchè bastava ascoltare le parole di un arzillo pensionato ex gelataio che qualche tempo prima sapeva già tutto e lo diceva pubblicamente.
La forza del potere mafioso è anche questo, ovvero far dire ad un semplice gelataio, quello che lo Stato dovrà fare. Punto e a capo.
Il cappellano del carcere dell’Aquila, dove il boss è stato trasferito, vedendo il nuovo arrivato senza un spicciolo in tasca, ha fornito al poverino alcuni euro, dieci per la precisione, per poter sopperire ad eventuali spese, almeno così ha riferito il telegiornale: patetica continuazione di storica memoria, quando all’alba dell’Unità d’Italia era lo Stato Pontificio, tramite il segretario di Stato cardinale Antonelli, a fornire denari ai briganti per scacciare i piemontesi dal sud. Tranquilli tutti! Il piemontesissimo alessandrino dottor Caselli è un tranquillo pensionato ritornato a casa nella sua Torino, non infastidirà più nessuno.
Il messaggio dato dal boss è molto chiaro: si è consegnato senza un euro in tasca, in modo tale da far capire al mondo intero che i soldi sporchi diventati negli anni puliti, tanti e veri, sono invisibili e custoditi dalle famiglie altrove e non si toccano, al polso un orologio costosissimo, per dire che l’emblema del potere economico, quello vero, è stretto al braccio di chi lo porta, disarmato perchè ormai non serve più sparare quando si può comprare tutto: chi studia il sistema mafioso, sa che questi atteggiamenti costituiscono un puzzle di messaggi volutamente mandati tramite un capo malato e non più in grado di operare, quindi consenziente e sacrificabile, in pratica un pizzino in carne ed ossa, quello di Messina Denaro, che abdica senza arrendersi e pentirsi.
A breve la Corte di Cassazione dovrà pronunciarsi ed emettere una definitiva sentenza sull’accordo Stato-Mafia di antica memoria, una lunga e triste ed umiliante storia giudiziaria, delle tante, troppe, alle quali siamo purtroppo ormai abituati a sopportare con disgusto e non vorrei fosse montata ad arte una commedia dove le vittime sacrificali fossero alla fine alcuni condannati al 41 bis, che non vedrebbero migliorare la loro posizione, assieme ad un gelataio ed un conduttore relegati all’oblio, vedendo invece assolti sia lo Stato che i mafiosi, come se nulla fosse avvenuto, oltretutto in concomitanza del compleanno dello stesso Matteo Messina Denaro, che ricordo, nato il 26 aprile del 1962 e quindi desideroso di ricevere un dono, come contropartita vuole, vestita da sentenza.
Srebbe troppo, ovviamente impensabile, frutto di una mia fantasia prigioniera di atavici pregiudizi nei confronti di marionette al potere, consapevoli però della forza che continua a proteggerli saldi nei posti che occupano, farseschi tutori di uno Stato abitato da profonde metastasi di un cancro ormai diffuso di una illegalità diventata sistema economico e sociale a livello globale.
C’e’ stato un tempo in cui gli italiani si aiutavano a vicenda a diventar uomini, portandoli da bambini negli oratori gestiti da piccole parrocchie di periferia: bastava un pallone fatto di stracci, tracciare la porta di calcio sul muro con un gesso bianco, insegnando loro il rispetto delle regole, con pazienza ed educazione, come tentò di fare il povero don Puglisi, firmando la sua condanna a morte.
Come diceva il buon Massimo d’Azeglio, in un epoca in cui per vivere serenamente non dovevi far finta di essere quotidianamente un asino, «l’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani», ed il buon gelato si faceva in casa.
E c'è chi si preoccupa in Italia del ritorno del fascismo e del cambiamento climatico, come se tutto il resto fosse noia, come cantava Franco Califano.
Questo articolo era stato da me scritto alcune settimane dopo l’arresto del latitante ed ho deciso di non pubblicarlo, aspettando la morte di Messina Denaro, nella speranza che, nel frattempo, le mie conclusioni allora descritte, potessero essere smentite dai fatti.
Non mi pare che questo sia avvenuto. Metabolizzeremo anche questo purtroppo.