A Passeig de Gracia c'è un edificio su cui c'è quello che sembrerebbe un gomitolo
Esiste un’altra Barcellona sfortunatamente eclissata dalla nomea che la città vanta, considerata di certo meta spagnola che condensa l’arte, il divertimento, il cibo e la buona atmosfera in modo completo. Ma, la realtà è che, se si continua a promuovere Barcellona solo per questi elementi e per i luoghi simbolo stranoti in tutto il mondo, si rischia di interpretarla esclusivamente come una città indubbiamente originale dal punto di vista artistico, in cui si vive bene, che, però, può strizzare l’occhio all’esigenza di postare tutto ciò che è “instagrammabile”.
Quindi, riconosciuto l’immenso patrimonio che ha da offrire la città – testimoniato dal turismo di alti livelli – forse bisognerebbe riflettere su come veicolare l’importanza dei luoghi che i turisti sono soliti visitare e approfondire l’analisi storico-culturale, prendendo in considerazione anche luoghi, come quello che intendo presentare.
Di certo, un comune turista, se si trova a Passeig de Gracia, uno dei quartieri di Barcellona a nord di Plaça Catalunya e de Las Ramblas, è alla ricerca di un luogo
emblematico della città; dunque, la scelta deve ricadere su Casa Battlò o Casa Milà. Ma, passeggiando per gli ariosi viali del quartiere, il suo occhio potrebbe cadere su quello che all’apparenza sembrerebbe un gomitolo posto sopra un edificio.
Se incuriosito da quel peculiare luogo, il consiglio è quello di informarsi su cosa si tratti e di entrare nella Fundaciò Antoni Tàpies, museo di arte moderna e
contemporanea, fondata nel 1984 da Antoni Tàpies (1923-2012) per promuovere lo studio e la conoscenza dell'arte moderna e contemporanea.
In questo momento in programma ci sono due mostre temporanee, ma è vietato non rivolgere l’attenzione, in particolare, a quella il cui artista dà il nome al museo
“Tapies. Maderas, papeles, cartones y collages” (“Tapies. Legni, carte, cartoni e collage”), il cui titolo, nella sua essenzialità riassuntiva, è rappresentativo delle
caratteristiche dell’artista catalano. Infatti, tutte le opere esposte sono accomunate da un principio fondante: un pezzo di carta, di legno o qualsiasi altro supporto possono trasmettere un concetto.
Il materiale stesso è, quindi, protagonista dell’opera, su cui l’artista si limita ad intervenire per manifestare la propria ripugnanza idiosincratica nei confronti di
qualcosa, ad esempio, tracciando un buco su un pezzo di carta oppure stropicciandola. In ogni caso, considerando tutte le difficoltà possibili nell’interpretazione complessiva dei suoi lavori, si tratta di un’arte, che si potrebbe definire allegorica, ma al tempo stesso molto comunicativa; infatti, materiali come la carta, il legno evocano, secondo Tapies, il tema dell’humiltas, della semplicità, della fragilità, ma anche del dolore, causato dallo spettacolo messo in scena dalla cultura contemporanea, in cui dominano l’abbondanza, la trivialità, il consumismo e la mancanza di ricerca di un contatto interiore con l’essenza umana.
In sintesi, la sua arte, la cui sensibilità nei confronti della natura è sicuramente derivante da momenti della sua vita vissuta in un contesto rurale, nella località di
Monsteny, può essere riassunta in una sua dichiarazione del 1961 rilasciata durante un’intervista «Mi avvalgo della terra e di coloranti per esprimere attraverso materiali “umili” e “poveri” qualcosa riguardante la vita, che considero grandioso».
A testimonianza di queste considerazioni, il museo offre un vasto campionario di opere, che può implicare uno sforzo interpretativo notevole. Di seguito, degli
esempi. In quest’opera di Tapies (una delle prime) si evince indubbiamente l’originalità dell’artista che volutamente rifiuta le tecniche artistiche dell’accademia, quale quella della pennellata precisa proprio perché tradizionali e quindi in contrapposizione con la sua personalità anticonformista e, inoltre, perché riteneva che strumenti più “duri” come la matita, le forbici, il punzone potessero contribuire a consolidare il rapporto con il supporto dell’opera.
Quelle che apparentemente sembrerebbero croci, come questa rappresentata, in realtà alludono alla “T” di Tapies, quindi sono una firma riconoscibile dell’artista. In questo caso, l’opera è caratterizzata da un dualismo (che in realtà è molto ricorrente nelle sue opere) accentuato dal taglio realizzato. La dicotomia qui rappresentata, quindi potrebbe ritrarre due dimensioni: quella umana (a destra e con la “T”) e quella naturale (a sinistra, simbolicamente dilaniata da un dolore inferto dall’uomo, riprodotto dalla “X”). Tuttavia, queste due dimensioni non sono isolate, ma sono connesse da linee irregolari e da pieghe, che possono rappresentare il tentativo di Tapies di approfondire il rapporto con la natura.
La relazione appare maggiormente consolidata in questa opera dove le due dimensioni sono cinte tra loro da dei fili, presumibilmente di spago. Si può pensare
che quest’opera sia appartenente ad un periodo più maturo della carriera di Tapies, in cui si è rafforzato il suo rapporto con la natura e con l’interiorità. Inoltre,
quest’opera ricorda vagamente una pergamena che è possibile srotolare; le pieghe, quindi, che sembrano avvilupparsi potrebbero esprimere il tentativo di congiungere “i due mondi”.
L’aspetto spirituale è fondamentale nelle opere di Tapies. Egli considera che sia possibile ricercarlo attraverso il contatto con la natura, che permette di approfondire l’interiorità umana. Tale elemento emerge in questa opera caratterizzata dalla presenza di un buco centrale realizzato con l’ausilio di forbici delimitato da fili di spago cuciti tra loro che potrebbero circoscrivere la dimensione dell’uomo e anche la società contemporanea, caratterizzata da una vacuità esistenziale che lo disorienta.
Come già accennato precedentemente, le T di Tapies sono spesso ricorrenti nelle sue opere. Esse, infatti, sono un tratto distintivo riconducibile all’artista. E se, invece,
oltre a ciò, rappresentassero delle croci e quindi un’allusione alla fede?
Il dubbio potrebbe sorgere leggendo la vita dell’artista, che proviene da una famiglia e da un contesto culturale espressamente anticlericale. Inoltre, queste sono spesso sono accostate ad altri elementi dell’opera, che potrebbero renderla irriverente o addirittura blasfema. Ciò emerge soprattutto in una delle opere più note di Tapies, il cosiddetto Calcetìn (La Calza). Quest’opera doveva essere realizzata per le Olimpiadi di Barcellona del 1992, fortemente richiesta da Pere Duran Farell, Presidente del Patronato del Museu Nacional d’Art de Catalunya (MNAC), che affidò l’incarico ad Antoni Tapies. Questi, entusiasta della proposta, si mette all’opera: il progetto prevedeva la realizzazione di una struttura a forma di calza, riempita con filo metallico ritorto e attraversata da travi di ferro, che fungevano anche da supporto.
L’idea iniziale presupponeva che lo spettatore potesse entrare attraverso uno dei fori e accedere a uno spazio di silenzio e riflessione. Quindi, l’intento principale era quello di “dare una dimensione cosmica” a un oggetto considerato insignificante, come confermato da tali parole «Attraverso questa scultura, propongo all’osservatore un momento di riflessione e metto in evidenza l’importanza delle piccole cose inserite nell’ordine cosmico dell’universo».
Nonostante l’opera fosse stata apprezzata da diversi artisti, questa non convinse in alcun modo Pere Duran Farell, che la bocciò. Dopo un lungo processo durato diciotto anni, Tapies è finalmente riuscito ad esporre il suo gioiellino proprio nella Fundaciò, nel 2010.
Certamente, come sottolineato precedentemente, questa opera è un’ulteriore testimonianza dell’importanza, per Tapies, degli oggetti della quotidianità, assurti a
dignità d’arte. Ma, se fosse sotteso un messaggio contro la Chiesa, dimostrato dalla dalle T? Esse, infatti, potrebbero simbolicamente rappresentare delle croci che
alludono ad una possibile egemonia clericale. Tuttavia, queste sono solo congetture evidentemente non fondate.
In ogni caso, ciò che conta è mostrare questo luogo, ai più ignoto, di Barcellona. Uno spazio, quindi, che propone un’arte innovativa perché erge lo strumento, il supporto a soggetto principale che l’osservatore può interpretare senza limiti e che, al contempo, si pone in continuità con altri edifici e luoghi storici di Barcellona (Casa Battlò, Casa Milà, Parc Guell) in cui è riservata un’attenzione privilegiata all’elemento naturale.