Identità, Patria e nazione e Occidente. Tre idiomi controversi spiegati da Alessandro Barbero, ormai ospite abituale del Salone del Libro. Durante l’appuntamento di ieri venerdì 16 maggio, in occasione della presentazione della sua ultima opera "La guerra delle parole", lo storico ha offerto una chiave di lettura profonda sulla nostra contemporaneità.
Il libro risponde a una domanda cruciale: cos’è la violenza delle parole? Le parole, spesso, vengono usate per colpire l’avversario o generare divisioni. Il mondo è attraversato non solo da conflitti economici e militari, ma anche da vere e proprie guerre linguistiche, secondo Barbero.
Davanti a un pubblico numerosissimo, che ha gremito l’Auditorium Agnelli, il dialogo si è aperto con la scrittrice Anna Foa, autrice de "Il suicidio di Israele", che si è soffermata sull’identità ebraica.
Come si coniuga oggi la parola “identità”?
«Identità è una parola pericolosa. Per la comunità ebraica si è concretizzata nel sionismo: un rifiuto della diaspora, con l’obiettivo di ricostruire un’identità forte. Ma può diventare un’arma di guerra, come dimostra l’idea di Netanyahu e la legge che ha sancito la supremazia dell’identità ebraica. È un concetto pericoloso anche per i palestinesi, e per l’Europa stessa, dove viene spesso usato come strumento per alimentare l’odio», ha spiegato Foa.
Per comprendere il concetto di identità in Occidente, si è fatto riferimento al libro "I Barbari". «La domanda vera è: chi siamo noi, che non siamo “barbari”? I Romani erano barbari per i Greci, poi il termine è stato esteso ad altri popoli. Ma la verità è che ognuno di noi è il barbaro per qualcun altro. Oggi, la parola identità è usata in politica come una clava per delimitare, ed è intellettualmente ripugnante», ha aggiunto Barbero.
Patria e nazione, due parole spesso confuse, sono state richiamate per interpretare il conflitto ucraino. «Patria, nazione, cittadinanza non sono concetti separati, ma legati dal senso di appartenenza. Dante, ad esempio, si definiva fiorentino, ma chiamava Firenze “patria” e si sentiva italiano. Quando l’Ucraina ha ottenuto l’indipendenza, alcuni russi hanno mantenuto la loro lingua, pur sentendosi cittadini ucraini. Essere cittadini significa sentirsi parte di un paese, e questo sentimento nasce da tanti fattori».
Infine, una riflessione sul termine Occidente e sullo studio della storia a scuola. Può il concetto di “Occidente” generare divisioni?
«È una polemica assurda. È naturale studiare la storia del paese a cui si appartiene, quella che ci riguarda da vicino. Ma questo non deve tradursi nel crederla “la migliore” di tutte. Non esiste una storia universale da insegnare in modo uniforme. È giusto che a scuola si studi il fascismo, il ventennio, i Comuni, Federico Barbarossa. L’equivoco pericoloso è confondere lo studio della storia con un atto di superiorità culturale», ha concluso Barbero.
Il libro “La guerra delle parole” (Laterza) è disponibile al Padiglione Oval, Stand W59. Prezzo: 18 euro.