Gio, 21 Nov, 2024

Il parvovirus canino: il terribile virus che colpisce principalmente i cani ed è altamente contagioso

Il parvovirus canino: il terribile virus che colpisce principalmente i cani ed è altamente contagioso

Si trasmette da cane a cane per contatto diretto o indiretto con le loro feci

Quando si parla del Parvovirus canino facciamo riferimento ad un piccolo virus a DNA, che necessita di cellule in attiva moltiplicazione per replicarsi, come ad esempio quelle del tratto gastrointestinale o del sistema immunitario del cane. La sfida più ardua con il Parvovirus è il fatto che sia estremamente contagioso per via oro-fecale e che sia estremamente resistente nell’ambiente, condizioni che conducono a pericolosi episodi di reinfezione durante le epidemie.

Le recenti tipologie di vaccino per la parvovirosi del cane sono effettivamente protettive, ma è importante sottolineare il ruolo della cosiddetta “immunità di gregge”: in breve, quando un’alta percentuale di individui all’interno di una popolazione viene vaccinata si innesca un processo di salvaguardia anche per i soggetti non vaccinati. Tuttavia, se il numero degli esemplari vaccinati scende al di sotto della soglia critica, torna probabile una nuova diffusione dell’epidemia, teoricamente anche in soggetti vaccinati, con particolare riferimento alle razze più sensibili al Parvovirus canino, come ad esempio Rottweiler e Labrador.

Ogni professionista del settore medico veterinario ha familiarità con i segni gastrointestinali emorragici acuti associati al Parvovirus. In particolare, è importante che qualsiasi cucciolo con vomito e diarrea sia considerato a rischio, anche se ha già iniziato il primo ciclo di vaccinazione: proprio la diagnosi precoce e il rapido ricorso ai moderni trattamenti possono alzare notevolmente le probabilità di sopravvivenza.

La diagnosi differenziale è complicata a causa dei sintomi vaghi ed in qualche modo ascrivibili ad altre patologie, tra cui alimentazione non appropriata, la gastroenterite emorragica idiopatica dei cani, le infezioni da Salmonella ed E. coli, intussuscezione, ingestione di corpi estranei o presenza di tossine.

Per quanto riguarda i cuccioli vaccinati, la diagnosi di Parvovirus canino può essere difficoltosa se si è impiegato un vaccino ad alto titolo. Gli antigeni vaccinali, infatti, si diffonde nelle feci fino a 4 settimane dopo l’iniezione, ma può essere rilevato tramite alcuni test rapidi. Il virus di campo non viene rinvenuto nelle feci per le prime 24-48h dall’insorgenza di sintomatologia, in seguito è diffuso per un periodo dai 2 ai 7 giorni, per poi scemare dai 7 ai 14 giorni: per una diagnosi corretta bisognerebbe quindi ripetere i test rapidi.

Test basati sulla tecnologia ELISA possono essere utili per effettuare una corretta diagnosi, anche se va sottolineato che in presenza di animali con sintomatologia clinica compatibile, non bisogna mai escludere la possibile presenza di Parvovirus, anche di fronte ad un risultato negativo al test. La tecnica Pcr fornisce risultati più sicuri ed attendibili e soprattutto con tempi di attesa ragionevoli

Gli animali colpiti dal Parvovirus canino si mostrano gravemente disidratati e con disturbi elettrolitici, condizioni che rendono la terapia tramite fluidi l’elemento probabilmente più importante del trattamento terapeutico. La cura dovrebbe infatti concentrarsi sul riequilibrio dell’idratazione, quindi sul recupero dei liquidi persi e sul mantenimento della soglia ottimale. Il bilancio elettrolitico deve essere monitorato attentamente durante la fase di reidratazione, in particolare per il rischio di sviluppo di ipopotassiemia e ipoglicemia, disturbi che possono verificarsi in maniera rapida in soggetti colpiti da fenomeni emetici e non in grado di un veloce recupero, come ad esempio gli esemplari giovani e/o anoressici.

Ad ogni modo, a causa del danno dell’epitelio intestinale e della probabilità di neutropenia, esiste anche il rischio di traslocazione batterica, di infezioni secondarie e di setticemia. È pertanto indicato l’uso di antibiotici, finalizzato ad un’ampia copertura che comprenda batteri gram-positivi e anaerobici. In alcuni casi può essere necessaria anche una copertura nei confronti di batteri gram-negativi, fatto che implica un approccio multimodale.

Gli antiemetici devono essere valutati sulla base della gravità del fenomeno del vomito, dal momento che un aumento dell’emesi, se non trattato, può esacerbare la disidratazione e lo squilibrio elettrolitico. 

All’interno del piano terapeutico, un ruolo significativo è interpretato dalla nutrizione.  Attuare procedure di nutrizione precoce può ridurre la durata del ricovero. Alla nutrizione enterale precoce, infatti, ottenuta tramite sondino nasogastrico o esofagostomia, corrisponde un più rapido miglioramento clinico e un significativo più veloce aumento di peso rispetto alla prassi di ritardare la somministrazione di cibo fino a quando siano trascorse 12 ore dall’ultimo episodio emetico. Non solo: la nutrizione enterale precoce può anche migliorare la funzione di barriera intestinale, limitando la traslocazione di batteri o di endotossine

Gli interferoni possono contare su proprietà anti-virali, anti-proliferative (neoplasie) e immunomodulanti, con particolare riferimento all’interferone omega, che viene rilasciato dalle cellule in risposta all’infezione virale. 

Sono stati fatti tentativi per determinare con precisione gli indicatori prognostici. Misurazioni riferite alla leucocitopenia, alla linfopenia e all’ipoalbuminemia sono state associate a tempi di ricovero prolungati. In ogni caso, la percentuale di sopravvivenza può essere anche molto bassa. Molto dipende anche dal grado di gravità e dalla tempestività di intervento.

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