Ven, 22 Nov, 2024

Dal fallito attentato all’Imperatore Napoleone III alla battaglia del Little Big Horn. Carlo Di Rudio, vita avventurosa di un italiano

Dal  fallito attentato all’Imperatore Napoleone III alla battaglia del Little Big Horn. Carlo Di Rudio, vita avventurosa di un italiano

Che ha lasciato un'impronta in due tragici avvenimenti che hanno segnato la vita di intere generazioni nel 1800

 

Carlo di Rudio, un nome qualunque, uno dei tanti che si potrebbero trovare sul citofono della palazzina accanto, immaginando un tranquillo impiegato oppure, già vedendo la figura dell’uomo incanutito e dall’aspetto curato, un anzianotto tranquillo e soddisfatto della sua tanto aspirata pensioncina, un pacioso “travet” che aspira solo alla serenità della sua esistenza dopo anni di lavoro seduto ad una anonima scrivania di un altro altrettanto anonimo ufficio di chissà quale città.

Semplice figura di un vecchietto come se ne vedono tanti e l’aspetto, nelle vecchie immagini fotografiche all’albumina di fine '800, rispecchia a pieno il tratto di un uomo di corporatura esile ma armonica nella sua forma gentile, con un viso contornato da una folta chioma ondulata ,con baffetti piccoli che coprono marginalmente zigomi pronunciati, mentre sotto il mento spicca un pizzo folto e ben curato, come del resto tutta la sua figura.

L’unica cosa che quasi stona ma che incuriosisce assai, l’aspetto sopito di tale figura sono gli occhi: piccoli, terribilmente penetranti, custodi di fermezza e grande coraggio, due stelle scintillanti in una tranquilla notte d’estate, che contrastano fortemente con l’aspetto esteriore del personaggio, occhi che hanno visto e vissuto cose oltre l’immaginabile in terre lontane tra di loro, spaziando dalle grandi metropoli europee alle sconfinate “sierre” delle terre di frontiera americane, passando attraverso le foreste tropicali. Una vita al limite in tutto e per tutto.

Il patriota dalla vita avventurosa

Era nato a Belluno il 26 agosto del 1832, quindi nativo dell’Impero austroungarico che all’epoca governava il Veneto e la Lombardia con pugno di ferro e con i tratti tipici del governo tiranno, (sono gli anni in cui vedrà la luce il libro di Silvio Pellico "Le mie prigioni", resoconto straziante e drammatico dell’esperienza vissuta dal medesimo patriota milanese nel carcere dello Spielberg, luogo di detenzione austriaco per sovversivi), e sicuramente tale situazione ha sul giovane Carlo un impatto formativo che caratterizzerà la sua vita fino alla morte: ricerca della libertà per se stesso e per gli altri, continua ricerca di affrancarsi dai soprusi dei più ricchi a scapito dei più poveri, lotta per l’indipendenza ad ogni costo, affermazione della verità sempre e comunque, anche a costo di passare alla storia come soggetto esaltato e poco incline ad ubbidire, portato al sacrificio come molti martiri italiani dell’epoca, ma scampato a tutto ed a tutti, mantenendo i suoi principi anche al di là di quell’Atlantico che fu costretto ad affrontare, per rifugiarsi nel nuovo mondo, accolto e ripagato nei sentimenti di libertà che non aveva trovato nel vecchio continente.

Una vita al limite del surreale

Figlio del conte Ercole Placido e della contessa Elisabetta De Domini, intraprese la carriera militare presso la scuola “Teuliè” ,ovvero la più antica istituzione di ordine militare napoleonica presente ancora oggi in italia, chiamata all’epoca Collegio militare di San Luca. Nato anche come orfanotrofio militare durante il periodo di transizione dalla Repubblica Cisalpina alla Repubblica Italiana, esso si trasforma in scuola per cadetti nel 1802 ed i suoi spazi si trovano all’interno di un antico monastero cistercense, in seguito ospedale militare.

Fu l’ultimo sito militare abbandonato dagli austriaci nel 1848 durante la sollevazione nelle Cinque Giornate di Milano. Il governo di Vienna, dopo la caduta di Napoleone Bonaparte e l’avvio del periodo nominato della Restaurazione, occupò tale edificio già dal 1814 senza modificare la funzione per il quale era stato creato.

Qui “Moretto”, come veniva chiamato simpaticamente in famiglia Carlo Di Rudio, per via dei capelli corvini, assieme al fratello Achille trascorse gli anni della gioventù improntata ad una preparazione militare che gli sarebbe servita, come ben vedremo, in futuro.

Dopo i moti del 1848, che videro il nostro, protagonista dell’uccisione di un soldato croato, colpevole a suo dire, di aver prima violentato due donne per poi assassinarle, fu trasferito in Austria, nella città di Graz nella regione della Stiria, sede dell’antica fortezza dello Schlossberg distrutta dopo la pace di Schonbrunn, avvenuta dopo la sconfitta austriaca nella battaglia di Wagram, per eliminare una delle fortezze ritenute tra le più imprendibili in Europa, dallo stesso Napoleone, Di Rudio ritorna di nascosto in Italia a Belluno, e qui inizia una vita dedicata ai moti risorgimentali, avvicinandosi alle idee mazziniane e prendendo parte anche come volontario alla difesa di Venezia, in quella neonata repubblica di Daniele Manin e di tanti altri volontari, primo fa tutti, quello che sarà un simbolo del martirio di Belfiore, Pier Fortunato Calvi, con il quale condividerà quel vento di libertà che i veneziani assaporarono purtroppo per breve tempo.

moti 1848 1

Venezia cadde dopo incessanti bombardamenti, sia da terra che dal cielo, in quanto non tutti sanno che il primo bombardamento dall’aria fu effettuato sul ponte che collegava Marghera a Venezia, dagli austriaci, dopo che il feldmaresciallo Boemo Josef Radetzki, dette il consenso ad un esperto di artiglieria presente sul posto come ufficiale austriaco, di bombardare dall’alto tramite l’uso di mongolfiere legate tra di loro per meglio controllare le navicelle in balia delle correnti d’aria, le postazioni degli insorti che avevano barricato alcuni tratti del lungo ponte.

In quei giorni Di Rudio perse il fratello Achille, anche lui volontario nelle fila dei patrioti veneziani, a causa del colera che arrecò molte vittime sulla popolazione per il  protrarsi di un assedio che aveva costretto i veneziani  a vivere in situazioni igieniche e sanitarie ormai disperate in laguna.

Dopo la caduta di Venezia al servizio della neonata Repubblica Romana

Salvatosi dalla immancabile rappresaglia austriaca che ormai lo stava braccando da tempo, mise la sua spada al servizio della neonata Repubblica Romana, che ebbe la stessa sorte di Venezia, ma che plasmò il carattere, già fiero ed orgoglioso di suo, venendo a contatto con i principali eroi risorgimentali di italica memoria, come Giuseppe Garibaldi, Goffredo Mameli, l’autore del famoso "Canto degli Italiani" - ovvero il nostro Inno Nazionale - personalità come Aurelio Saffi, Nino Bixio, i fratelli Dandolo e Luciano Manara. Si sussurrava, ma non esistono riscontri che comprovino la certezza, che a seguire l’agonia del Manara sulla barella su cui emanò l’ultimo respiro, ci fosse anche Di Rudio, che prese ancora più coscienza del momento storico vissuto in quei frangenti, e che odiò ancora di più la tirannia e crudeltà di Vienna, che impedì il trasporto della salma del comandante dei bersaglieri Manara nel paese natio ,e che vide il ritorno della salma in provincia di Lecco, solo nel 1853, a seguito di diverse peregrinazioni: si era giunti al punto di accanirsi anche sui morti da parte degli occupanti austriaci.

moti 1848

Caduta la Repubblica nata sulle sponde del Tevere, con gli amici compagni di lotta costretti ad allontanarsi dall’Italia per eludere l’arresto e le inevitabili condanne a morte, (Garibaldi riparò addirittura a New York, altri a Londra ed in Piemonte), Di Rudio decise di trasferirsi in Francia, per contrastare a fianco dei movimenti giacobini, il tentativo di presa di potere di Napoleone III che riuscì nell’intento di ristabilire una corona dei Bonaparte nel 1852 ma che vedrà egli stesso cadere tragicamente molti anni dopo a Sedan, subendo addirittura l’umiliazione della prigionia prussiana, dopo una breve ma crudele guerra che iniziò il 19 luglio 1870 e terminò il 10 maggio 1871: Carlo di Rudio, dagli Stati Uniti in cui viveva,  ebbe così modo di vedere un fatto paradossale ai suoi occhi, il fatto che Garibaldi accorse in aiuto all’Imperatore dei francesi assieme al figlio Menotti Garibaldi, riportando una bella quanto inutile vittoria sui tedeschi a Digione, il mito Garibaldi, suo superiore e mentore durante la resistenza di Roma, che accorreva in aiuto al despota che di Rudio, assieme a Felice Orsini, tenterà di uccidere, mettendo in opera un maldestro piano, che fu la causa principale del fallimento dell’attentato, avvenuto qualche anno dopo.

Felice Orsini Felice Orsini

Correva intanto l’anno 1851, lo stesso anno in cui i famigliari di Di Rudio vennero tratti in arresto dal governo austriaco e trasferiti nella fortezza di Mantova, vista l’impossibilità di catturare lo stesso, che intanto, con Mazzini, partecipava ai moti in Cadore.

Dopo alcuni anni di silente peregrinazione, nascosto e sempre ricercato, braccato ormai in ogni luogo sul territorio nazionale ove la propaganda carbonara faceva proseliti ed all’estero dove saltuariamente si rifugiava, tentò di trasferirsi nell’America del nord cercando un imbarco al porto di Genova, ma la nave che doveva compiere la traversata atlantica naufragò appena partita e Di Rudio fu costretto, in condizioni economiche drammatiche a spostarsi di continuo per non dare riferimenti precisi per una sua eventuale cattura: Spagna, Francia, Svizzera, Piemonte, ove potrà qui incontrare i genitori ed avere quindi la possibilità di avere del denaro finalmente a disposizione, per poi approdare in Inghilterra.

Di Rudio ripara in Inghilterra e si sposa

Il suolo britannico è da sempre un’isola sicura per gli esuli politici italiani, ma le condizioni economiche precarie obbligano Di Rudio a lavori saltuari, addirittura a volte al limite dell’umiliazione, per un rampollo della nobiltà veneta da cui proviene, tanto che lo vediamo giardiniere a casa di un amico di Victor Hugo e factotum presso altre famiglie, occupato in piccoli lavoretti domestici durante i quali incontra la quindicenne Eliza Booth con la quale convolerà a nozze: il periodo londinese di questi anni è particolarmente tranquillo per il nostro patriota, ma sempre più complicato dal punto di vista della sopravvivenza, vista l’incertezza lavorativa che però gli permette comunque di essere sempre in contatto con Mazzini.

L’animo inquieto del personaggio ha però il sopravvento, quindi cerca l’occasione di poter evadere dal contesto londinese dove monotonia e tranquillità mal si addicono al Di Rudio.

Il fallito attentato a Napoleone III

L’occasione arriva,quando decide di partecipare materialmente all’attentato preparato dall’anarchico italiano Felice Orsini, ai danni dell’imperatore dei francesi Napoleone III. E’ la sera del 14 gennaio 1858, in una Parigi fredda e buia, c'è un  angolo che risplende di luce e calore, è un tratto di strada di rue Lepellettier, nei pressi del teatro dell’Opera Nazionale di Parigi. Qui deve transitare la carrozza imperiale con a bordo Napoleone e la consorte Eugenia De Montijo, una donna considerata tra le più belle nelle corti europee. La gente è tanta, l’avvenimento di veder sfilare il corteo imperiale è sempre uno spettacolo che piace a tutti, quindi molte persone attendono il passaggio del corteo, quando all’improvviso a distanza di pochi secondi risuonano tre boati che squarciano la gelida notte: la prima bomba viene scagliata da un certo Gomez, la seconda da Di Rudio e la terza da Orsini.

Le  bombe erano state fabbricate e precedentemente progettate dallo stesso Orsini e si trattava semplicemente di un involucro in metallo contenente piccoli pezzi di ferro, chiodi e piccole palle di moschetto, con innesco al fulminato di mercurio, un esplosivo molto sensibile agli urti preparato con alcool aggiunto ad una soluzione ottenuta con acido nitrico e mercurio, in cui per poter accelerare la reazione si usa cloruro di rame. Questo ordigno in seguito prenderà il nome di Orsini.

La frequentazione di un esaltato rivoluzionario francese di nome Bernard, già fuggito in Inghilterra per i suoi precedenti sovversivi in Francia, conosciuto da Orsini che incoraggiò l’attentato a Napoleone, divenuto per lo stesso Bernard una autentica ossessione ,fece breccia anche tra individui diversi per natura e formazione patriottica (Orsini detestava fortemente Mazzini, mentre questi trovava come ammiratore da sempre di Di Rudio) e la speranza di dare un forte segnale all’intera Europa, con la plateale uccisione di Napoleone, convinse i cospiratori a tendere l’agguato.

attentanto a Napoleone III

L’imperatore dei francesi nel 1855 aveva già subito un attentato da un anarchico italiano, tal Giovanni Pianori, detto il Brisighellino, dal nome del paese natio,che incolpava il sovrano di essere l’autore della repressione dei moti liberali nello Stato Pontificio, tradendo quindi le speranze di chi vedeva questo “Carlo Alberto transalpino”, non tentennante come il monarca sabaudo, ma un voltagabbana vero e proprio, a scapito delle popolazioni che si erano sollevate nel 1848\49 contro il Papa\Re Pio IX.

Ma tutto andò storto: 12 morti e 156 feriti tra i civili, Napoleone ferito lievemente al viso con una piccola cicatrice sulla guancia che per tutta la vita gli ricorderà l'orrore di quella sera, Eugenia completamente illesa. Gli attentatori fuggono, ognuno in luoghi diversi, ma a tradirli fu il napoletano di 28 anni Gomez, che durante un controllo in una osteria adiacente alla strada ove era avvenuto l’attentato, tradì una forte emozione che non passò inosservata ai gendarmi che fecero in fretta a far confessare il giovane. L’unico italiano che non potè partecipare all’attentato fu un certo Pieri, riconosciuto precedentemente come clandestino dalla polizia di guardia alla scorta imperiale e quindi allontanato, ma il suo nome saltò fuori la notte stessa e fu arrestato ed assieme a Orsini e condannato a morte, pene  che vennero eseguite il 13 marzo 1858 alle 7 del mattino.

Gomez e di Rudio scamparono alla pena capitale, in particolare il bellunese, pare per l’intercessione presso il governo di Londra del suocero inglese e sicuramente perchè di nobile famiglia, mentre per il giovane napoletano valsero tutte le attenuanti in merito alla sua confessione.

Vennero tutti e due condannati all’ergastolo, ma si sa che in Francia in quel periodo, tale pena significava la terribile prigione della Cajenna, nella Gujana francese, piccoli pezzi di isolotti ai confini del mondo, ove gli escrementi della società civile rei di delitti efferati, erano costretti a vivere, anche dopo fine pena coltivando piccoli appezzamenti di terra offerti loro dal governatore del luogo, in modo che nessuno potesse più lasciare l’inferno di quei luoghi, resi famosi  in tempi più recenti dall’unico galeotto evaso dall’isola, Henry Charriere, detto “Papillon”, ma prima di lui indovinate un po’ chi riusci ad evadere da questo triste e terribile penitenziario? Manco a dirlo Carlo Di Rudio, che non possedeva certo un “fisique du rôle”, ma in quanto a perseveranza e decisione ,non era secondo a nessuno ed i suoi occhi sempre brillanti  ,con quelle pupille sempre rivolte alla libertà erano una garanzia.

Cajenna

Nel dicembre del 1858, Di Rudio fu condannato a scontare la sua pena all’isola del Diavolo, così era chiamato il penitenziario, trattandosi di una isola molto piccola e quindi facilmente controllabile, circondata da mare aperto infestato da squali, quindi considerata di massima sicurezza. La sua nomina di soggetto sovversivo giunse prima dello stesso Di Rudio sull’isola, tanto che al suo arrivo trovò un’accoglienza fredda e distaccata, anche da parte dei compagni di prigionia, per non parlare dei secondini; dovette accettare ogni tipo di provocazione ed offesa, ma il carattere di ferro dell’italiano, si dimostrò piu forte di qualsiasi angheria, sopportata sempre con coraggio e dignità.

Pensò sempre come evadere e tentò senza fortuna una prima volta, appena giunto sull’isola ,ma l’anno dopo, nel 1859, riuscì nell’impresa, aiutato da alcuni compagni di sventura, e questa volta i giornali di mezzo mondo riportarono di nuovo alla ribalta internazionale questa impresa considerata impossibile. Dopo varie peripezie, il gruppo di fuggiaschi raggiunse i territori della Gujana inglese e qui Di Rudio venne finalmente accolto a braccia aperte, sia perchè erano del tutto evidente che il Regno Unito, storico rivale coloniale della Francia, non aspettava altro per mettere in cattiva luce l’operato transalpino nei territori equatoriali, ma soppratutto perchè molti internati alla Cajenna erano semplicemente dissidenti politici i quali erano ben visti a Londra, da sempre rifugio sicuro di esuli e patrioti di tutta Europa.

Il nostro può quindi rientrare in Inghilterra e riabbracciare per la seconda volta la sua famiglia giunta dall’Italia e la giovane moglie inglese

Erano i tempi in cui Cavour, Costantino Nigra e la contessa di Castiglione agivano sottobanco con Napoleone II, per garantirsi l’appoggio militare contro l’Austria nella campagna militare che prenderà il nome di Seconda Guerra di Indipendenza Italiana, che vedrà l’epilogo a Villafranca con la pace separata tra Francia ed Austria che, senza avvertire Vittorio Emanuele II, decisero di sospendere il conflitto dopo aver assistito al massacro dei loro eserciti sulle alture di Solferino e San Martino del giugno del 1859.

L’attentato dell’italiano Felice Orsini aveva rischiato di mandare a gambe all’aria gli sforzi diplomatici di Cavour, il quale ignorò gli inviti precedenti all’attentato, dello stesso Orsini che, forse, voleva la benedizione sabauda per il suo aiuto alla causa italiana, ma il grande diplomatico piemontese stette alla larga da questo individuo, che al suo attivo aveva già un delitto, compiuto nella casa dello zio Orso. Infatti all’età di 16 anni, Felice Orsini uccise a colpi di pistola certo Domenico Spada, cuoco dello zio, incaricato anche di sorvegliare il giovane nipote che si era invaghito di una ragazza che lavorava nella stessa casa. A salvarlo fu Maria Mastai Ferretti, vescovo di Imola e futuro Pio IX, che tramite una vecchia amicizia con lo zio Orso Orsini, tramutò l’accusa di omicidio volontario in omicidio colposo, salvando quindi il giovane dal patibolo, frequentato allora nello Stato Pontificio da un certo esecutore di giustizia soprannominato “mastro Titta”, che a tanti poveri diavoli mozzò la testa, ma mai nessun prelato venne “operato” da questo triste soggetto.

Occorre dire che la pena di morte nella Città del Vaticano è stata abolita solo nel 2001 da Papa Paolo Giovanni II: fino al 1969 era a tutti gli effetti legale e poteva essere applicata solo per il tentato omicidio del Santo Padre. 

Quindi per tutti gli appartenenti alla congrega che aveva partecipato all’attentato all’Imperatore dei francesi non c’era trippa per gatti, nè da parte quindi della Francia, dell’Austria e dello stesso Regno di Sardegna ,che ignorava completamente anche Mazzini, per terminare alla stessa Inghilterra che dava sì rifugio, ma per mantenere una famiglia occorreva una posizione economica decente, che molti esuli non potevano permettersi; era il caso di Di Rudio che decise di tentare ancora una volta di raggiungere gli Stati Uniti.

Di Rudio si trasferisce negli Stati Uniti

Raggiunta New York, cercò un'occupazione per sbarcare il lunario, e l’occasione gli viene data dal conflitto tra nord e sud iniziato nel paese, la famosa Guerra di Secessione americana che durò fino al 1865.

L’arruolamento nelle file dei soldati nordisti avveniva per sorteggio nelle pubbliche piazze e un giovane ricco e benestante ,vedendo uscire il suo nome dal bussolotto, poteva trovare un sostituto, dietro naturalmente lauta ricompensa: manco a dirlo Di Rudio, senza un soldo in tasca e famiglia al seguito (avrà tre figlie), non perse occasione di sostituire un ricco statunitense che della patria e dei diritti sbandierati da Lincoln, non gli importava nulla e partì volontario, ben pagato dal sorteggiato, nelle file dell’esercito unionista.

Arruolato nel 79° New York Volunteer Infantry, arrivò a comandare, anche con l’apporto di personalità politiche repubblicane vicine a Mazzini, con il grado di sottotenente, una compagnia di soldati afroamericani in Florida con funzioni di polizia militare. Al termine della guerra, riuscì a mantenere il grado militare e passò come effettivo nell’unificato esercito americano e destinato nel 1869 al 7° Reggimento di Cavalleria, comandato dal curioso e pittoresco tenente colonnello George Armostrong Custer.

Il genrale Custer George Armostrong Custer

Il massacro di Little Bighorn

Di Rudio fu uno dei pochi che sopravvissero al massacro del Little Bighorn, in Montana, nella giornata del 25 giugno del 1876, quando alcune migliaia di guerrieri indiani delle tribù Sioux, Oglala ed Hunkpapa, guidate da Toro Seduto e Cavallo Pazzo, accerchiarono in una stretta valle il contingente comandato personalmente da Custer, uccidendo tutti i soldati. Alla fine della giornata si contarono 268 morti e 55 feriti tra le “giubbe blu”, come venivano chiamati i cavalleggeri americani dai nativi americani Lakota.

Degli italiani presenti sul campo di battaglia, solamente pochi furono i superstiti, tra questi il trombettiere di Custer, Giovanni Martini, incaricato di cercare rinforzi e lo stesso Di Rudio, che per tutta la giornata seguì le operazioni accanto al comandante Reno (il terzo comandante era Benteen ) che guidava una colonna in marcia verso il grosso del campo indiano con l’ordine di attaccarlo, per poi ripiegare in posizioni di difesa visto il numero impressionante degli indiani che mossero loro contro: Custer aveva fatto l’errore fatale di dividere le forze di attacco in tre colonne separate, sicuramente ignaro delle forze di cui disponevano i nativi, e questa fu forse la ragione del massacro avvenuto quel giorno sulle alture delle Blak Hills, anche perchè rimangono ancora molti dubbi su alcuni spostamenti del contingente al comando di “Autie”, come intimamente Custer veniva chiamato dalla moglie Elizabeth.

Naturalmente seguirono inchieste, polemiche, pubblicazioni sul perchè di tale massacro e nessuno fu risparmiato, compresi i superstiti che tra insinuazioni e sospetti, dovettero difendersi da molti attacchi giornalistici, quasi i colpevoli fossero loro e non i comandi militari che, come sempre capita ancora oggi, si resero protagonisti di imbarazzanti scaricabarili che coinvolsero anche molti politici, rei, secondo la stampa, di aver sottovalutato la situazione.

Di Rudio e la grande epopea del Far West

Di Rudio fu trasferito nei selvaggi territori del Nordovest e visse quindi la grande epopea del Far West, in particolare partecipò con il grado di capitano alla vicenda relativa alla tribù di Capo Giuseppe, che guidò i nativi Nasi Forati verso il Canada, nell’autunno del 1877, con l’intento di portare la sua gente nelle foreste del Canada, ma venne fermato prima del passaggio del confine dalla cavalleria americana che da mesi si era messa al loro inseguimento.

Di Rudio capitano Di Rudio con il grado di capitano

Congedatosi dall’esercito nel 1896  dopo aver trascorso parte della sua carriera militare in Texas ed aver conosciuto il capo Apache Geronimo, famoso guerriero  Cirichaua, andò a vivere a San Francisco e nel 1904 gli fu riconosciuto il grado di Maggiore.

Polemiche e rivelazioni sull'attentato a Napoleone III

Nei suoi ultimi anni di vita, ebbe anche modo di svelare alcuni tratti sconosciuti, riguardante la vicenda dell’attentato a Napoleone III nel 1858: sostenne infatti, invitato a parlarne dallo storico dell’epoca tal Paolo Mastri nel 1908, che Francesco Crispi, scomparso nel 1901, fu l’autore del lancio, verso la carrozza blindata del sovrano e della moglie, della terza bomba che gli fu consegnata nelle mani direttamente da Felice Orsini.

Inutile dire il polverone mediatico e politico che si sollevò attorno al nome del Presidente del Consiglio italiano che occupò tale dicastero dal 1893 al 1896, costretto alle dimissioni dopo il fallimento coloniale italiano in terra d’Africa, dove possiamo ammettere, conti  alla mano, che per le perdite subite dai poveri soldati italiani mandati allo sbaraglio nella disfatta di Adua con i nostri 7.000 morti e 4.500 tra feriti e prigionieri, tanti dei quali  ascari coloniali poi mutilati dagli etiopi perchè considerati traditori, il massacro del Little  BigHorne al quale partecipò Carlo Di Rudio, appare quasi una pagina del famoso libro di Louis Pergaud, ”La guerra dei bottoni”.

Francesco Crispi Francesco Crispi

Non si saprà mai la verità:  un velo di silenzio calò sulle affermazioni del Di Rudio che citava Crispi come uno degli attentatori di Napoleone, ma la cosa insospettisce molto ancora oggi, visto che lo statista, all’epoca giovane patriota più vicino a Garibaldi che a Mazzini, nei giorni dell’attentato era a Parigi ed era una persona già molto conosciuta negli ambienti patriottici italiani.

Fu questo l’ultimo dei clamori mediatici che suscitò lo straordinario personaggio, che partito da Belluno, corse le strade del mondo di allora con lo spirito romantico di un Don Chisciotte e con il coraggio di un leone che mai avrebbe rinunciato alla sua libertà. Una figura molto più limpida di molti suoi coetanei passati alla storia come eroi e patrioti e forse per questo motivo, relegato ad essere ricordato come una controfigura dei medesimi, che ebbero molti più onori ed oneri. La politica paga sempre più della spada.

Rudio con le figlie Rudio con due delle tre figlie

Carlo Di Rudio morì a Pasadena in California il 1 novembre del 1910 assistito sul letto di morte dalle tre figlie dai nomi pittoreschi, nella più esclusiva immagine che il padre potesse dipingere dal profondo del suo animo patriottico e cavalleresco a ricordo della sua,a dir poco, avventurosa vita: Italia, Roma ed America.

Riposa nel cimitero Nazionale di San Francisco.

 

 

 

 

 

 

 

 

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