In pochi anni seppe cambiare radicalmente l’assistenza ospedaliera in Piemonte
Si sa che una società abituata a vivere nell’ovvietà, non sempre riconosce i meriti di quelle persone che invece dedicano la loro esistenza per migliorare la stessa a favore di tutti e, quindi, capita spesso e volentieri che nel corso degli anni, non vengano riconosciuti i meriti di uomini che hanno cambiato radicalmente il modo di pensare e quindi di agire in particolari settori, in questo caso l’assistenza sanitaria pubblica, in un momento storico particolare per la nostra nazione.
E' il caso del professor Enrico Martini.
Nato in una povera famiglia di agricoltori, in un piccolo villaggio del basso Monferrato astigiano nel 1872, dotato di una intelligenza non comune e di una curiosità che fin da piccolo lo spinge a cercare di conoscere i misteri della vita, con molti sacrifici umani ed economici riesce a completare gli studi primari per poi iscriversi al liceo e quindi all’università, dove eccelle in Medicina a riprova delle sue doti che, aggiunte al carattere forte e schietto, come solo i figli della terra hanno, lo portano nel 1908 ad ottenere la libera docenza in Patologia Chirurgica ed a iniziare un nuovo brillante percorso presso gli ospedali torinesi, dove già opera dal 1896.
In questi anni lavora sodo, ma osserva anche molto.
In particolare guarda l’evolversi della società torinese che sta cambiando profondamente e che da capitale di un territorio agricolo ed artigiano, diventa in breve tempo il centro industriale più importante d’Italia.
Con la nascita della Fiat vedono la luce migliaia piccole realtà artigianali ad essa collegate ed è una scommessa vinta per tutto il territorio nazionale perchè l’auto è il futuro e la prosperità, data da migliaia di nuovi posti di lavoro, è semplicemente il futuro che tutti aspettavano, ma non solo: con il benessere nascono bisogni collettivi che prima erano ignorati dalla massa di persone coinvolte in questo radicale progresso tecnologico ed industriale, piccoli artigiani che diventano imprenditori, una piccola borghesia di bottega che ora ospita nelle officine nugoli di operai e maestranze, e tutte le attività che prima erano compresse in un alveo di mite sopravvivenza economica, in poco tempo si trasformano, si ampliano, si modernizzano fino diventare parte integrante di quello che sarà il primo boom economico della storia italiana, termine coniato alla fine degli anni '50 per evidenziare la ripresa economica del secondo dopoguerra.
Nascono quindi nuove esigenze, nuovi bisogni a cui molti possono aspirare, come la moda, la stessa auto, la presa di coscienza che la cultura personale è di fondamentale importanza e quindi nuove scuole, moderni sistemi di insegnamento, altre porte che si aprono al benessere.
E’ propio a Torino che nel 1911 si svolgerà una delle più importanti Esposizioni Generali italiane ,inaugurata con la presenza dei Reali d’Italia e con il concorso di tutto il mondo produttivo, non solo quello subalpino, atto a certificare che l’Italia tutta sta cambiando percorso, avviandosi verso quella industrializzazione che ci porterà ad essere in futuro una delle nazioni più rilevanti al mondo dal punto di vista manifatturiero.
Cambia quindi il modo di vivere dei torinesi e se da un lato i vantaggi sono enormi per tutto il tessuto sociale, si apre un fronte nuovo, dovuto anche alla grande massa di lavoratori e quindi di intere famiglie che dalle campagne più remote, si trasferiscono in città per lavorare nelle nuove industrie, e questo è rappresentato purtroppo dai molti incidenti sul lavoro che si riscontrano nei nuovi e poco ancora conosciuti, sotto il profilo dei rischi, luoghi di lavoro, dove gli infortuni sono all’inizio molti, troppi comunque per un sistema ospedaliero cittadino attrezzato per la cura delle malattie con degenze ed assistenze precise e quindi assolutamente impreparato al soccorso immediato, in particolare per gli incidenti sul lavoro che per mancato, subitaneo intervento medico, sono la causa principale di molti decessi, che invece si sarebbero potuti evitare.
Da qui l’idea del professor Martini, che in breve tempo si era procurato fama di grande medico, ma anche la fiducia della municipalità, di istituire in città una Astanteria, ovvero un luogo di cura in attesa del successivo ricovero, nel tentavivo di dare un pronto soccorso a tutti coloro che ne avessero bisogno.
Il sindaco e senatore Rossi di Montelera ne è entusiasta ed approva il progetto di questo ospedale nuovo nella concezione e nello spirito e con lo stesso Martini stipula una convenzione di assistenza economica a carico del Comune per la spesa di degenza e cura dei malati poveri, mentre la costruzione del medesimo è totalmente a carico del professor Martini che sarà anche direttore generale dell’intero complesso.
L’area scelta è in borgo San Paolo, presso il Foro Boario adiacente a Corso Francia, zona tranquilla, poco rumorosa, facile da raggiungere.
La struttura ospedaliera è a padiglioni distinti e non a corridoio come invece erano stati fin qui concepiti i nosocomi e dimostra come sia lo stesso Martini, forte della sua esperienza di chirurgo, ad aver immaginato tale disposizione, ordinando quindi e separando l’amministrazione ed i vari reparti secondo una precisa logica di coerenza nella cura del malato.
Il fabbricato è lungo 40 metri per 10 di larghezza con due ingressi, uno per la farmacia ed uno per l’ambulatorio, tre camere di medicazioni complete di tutto l’occorrente per il primo soccorso e per l’intervento chirurgico d’urgenza sono lo specchio in cui si intravede la vera rivoluzione sanitaria in cui il Martini profondamente crede.
Lo sforzo organizzativo è straordinario in quanto sono previste sale di accettazione, medicazioni gratuite, servizio di guardia medica con camere da letto per i medici di guardia, sala di radiologia, saletta per la riunione dei medici e consultazione, camere per le suore, un piccolo laboratorio, latrine attigue e comode.
L’intera struttura è sopraelevata in quanto è stata costruita sopra una intercapedine che garantisce una perfetta ventilazione e salubrità dell’intero immobile, quindi evitando qualsiasi pericolo di umidità.
Nella parte bassa si trovano cucine, magazzini per gli alimenti e lavanderia, e separata da questi, un locale dove è posta la stufa di disinfezione fatta a mezzo di vapore sotto pressione ed una tinozza per la disinfezione al sublimato per la biancheria.
Sono presenti due padiglioni: quello di destra lungo 25 metri e largo 13, di forma rettangolare, è fornito di due camere di isolamente per i malati gravi mentre nell’infermeria destinata ai poveri e sussidiata dal municipio, sono presenti 24 letti.
Il padiglione di sinistra è più grande e si trova all’interno, separato dal resto del fabbricato da un ampio giardino e presso la galleria centrale eiste una grande camera di medicazione. Codesto padiglione ha una capacità di 25 letti ed è riservato, oggi diremmo alla classe media, a quella categoria di persone che non avendo diritto alla “pubblica beneficenza” non potrebbe sottoporsi in caso di malattia a grandi spese per le cure di cui abbisogna.
L’ospedale Martini viene dunque inaugurato il 22 novembre del 1911 e resterà per la città e non solo, un punto di riferimento sanitario di grande eccellenza, che terminerà con il suo abbattimento, subito dopo aver subito gravissimi danni a causa di uno dei tanti bombardamenti alleati che Torino dovette subire tra il 1942 e 1943. Oggi la nuova struttura che sorge a ricordo di questo ospedale è situata in via Tofane, conosciuta da tutti come il “Martini nuovo” a ricordo del suo ideatore.
Nel 1923, il 5 di maggio, verrà poi inaugurata l’Astanteria Municipale Martini, progettata dall’ingegner Sgarbi, anch’essa costruita a spese del professor Martini sull’esempio di quella precedentemente descritta e posta nell’attuale via Cigna 74. Dal 1997 è in disuso e pare oggi come un fantasma del passato che si erge con orgoglio in una città che stenta a riconoscere i suoi figli più sinceri.
Il prof essor Martini pubblicò molte opere sia di natura medica che sociale e qui mi pare doveroso riproporre i suoi concetti riguardanti la beneficenza privata e pubblica:
«La beneficenza ebbe in ogni tempo e luogo un culto, è una pianta che fiorisce ovunque vi sono miserie da soccorrere ed anime pietose che soffrono per dolori altrui. La beneficenza richiede quanto di meglio vi è nell’uomo: il cuore che ispira tutti i sacrifici e tutte le audacie, la ragione che deve determinare gli atti e le risoluzioni. Nella beneficenza privata v’è chi dona silenziosamente, senza ostentazione, senza pubblicità e talora senza nome: dona quello che può e spesso più di quello che è possibile. Il sentimento altruistico ha origine dall’istituzione famigliare e dalla convivenza sociale e costituisce la forma più semplice ed insieme la più eletta di amor fraterno».
Il professor Martini morì il 17 gennaio 1942, dopo aver precedentemente donato al comune di Torino che ne affidava la gestione amministrativa all’Ospedale Maggiore San Giovanni, e precisamente nel 1937, i due ospedali, ove il primo da lui costruito gli sopravvisse solo alcuni mesi a causa degli avvenimenti bellici precedentemente descritti.
Malgrado il grande contributo dato dal professor Martini alla città di Torino, la comunità scientifica locale dell’epoca, per rancori ed invidie personali, non ebbe mai a cuore questo grande personaggio e molte volte tentò di ostacolarne i progetti. Il massimo del disprezzo con il quale venne gratificato questo luminare dalla “nomenclatura” cittadina, fu quando dovette subire il carcere a causa di una condanna che lo vedeva colpevole della una morte di una giovane ragazza da lui operata, mentre invece era in corso un tentativo di estorsione da parte della famiglia della poveretta, che lo accusava di aver nascostamente tentato di far abortire la figlia sedicenne poi deceduta a causa di una setticemia, ma questa è un’altra storia che più avanti andrò a raccontare, a Dio piacendo.