Una persecuzione sistematica condotta da cattolici e soldati
Il 27 gennaio viene ricordato l’Olocausto, una ricorrenza triste che riempie i cuori di amarezza e di terrore, nel sapere, ricordare, rivedere, riascoltare tutte le atrocità perpetrate dai nazisti in tutta Europa nei campi di concentramento voluti da Hitler e pianificati da Himmler e dal suo diabolico entourage, per l’annientamento totale del popolo ebraico e con esso, molte minoranze etniche
Questa è la data in cui le armate sovietiche scoprono il campo di sterminio di Auschwitz, luogo divenuto simbolo del terrificante piano antisemita perpetrato nei minimi particolari dai gerarchi nazisti, e dal 1 novembre 2005, il 27 gennaio,secondo la risoluzione 60\7 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stata istituita la ricorrenza chiamata "Giorno della Memoria”, ovvero la giornata in cui tutto il mondo è invitato a fermarsi e riflettere su fin dove può arrivare la crudeltà umana supportata, all’epoca, dal colpevole silenzio di molti.
Se dovessimo però realizzare una storiografia di tutti i delitti di massa, avvenuti nel mondo, a partire dalle Crociate fino ad arrivare ai giorni nostri, passando dallo sterminio sistematico dei popoli primitivi americani e dalle persecuzioni religiose in Europa e in Asia,fino alla pulizia etnica di inizio Novecento di cui fu vittima il popolo armeno e alla ex Jugoslavia negli anni '90, occorrerebbero tonnellate di carta e fiumi di inchiostro e, forse, è meglio non immaginare ciò che sicuramente potremmo trovarci davanti analizzando i fatti così come sono realmente avvenuti nella loro completezza storica.
La costante che si evidenzia sempre nei delitti di massa che viene presa come giustificazione da tutti coloro che esercitano tale abominio, è la difesa della propria religione, più che la differenza della razza: come una gomma da cancellare usata sulla memoria di tutti, perchè non resti traccia nell’animo e nelle menti, di un senso di colpa che investe nella sua vasta complessità il genere umano, e che invece deve essere rimosso, quasi come una sillaba scappata allo scolaretto delle elementari sul tema di classe, che si affretta quindi a rimuovere perché la maestra non veda…
Rimane però il tema che, seppur consegnato all’insegnante con tutte le parole perfettamente allineate nel paragrafo, nasconde quello che la mente umana non vuol vedere e ricordare. Quegli errori umani trasformati in tragedie epocali, che oggi la memoria ci sbatte violentemente in faccia, monito per tutte le generazioni future.
Un tema scritto quindi non va letto solo con le parole in esso presenti, ma occorre sempre ricercare quelle cancellate, vergate per sbaglio fuori dai paragrafi delineati dai perbenisti della forma. Lo storico ha questo difficile compito, ossia riportare alla luce tutti i fatti che hanno contribuito a formare questo mondo e se le storie non sono edificanti, meglio raccontarle che ignorarle, nella speranza che tali e tanti errori non vengano mai più a ripetersi in futuro.
Viaggiando nella memoria dei tempi, anche noi in Piemonte abbiamo avuto il nostro Olocausto e precisamente nel 1655, quando regnando la prima Madama Reale, Maria Cristina di Francia, vedova del Duca di Savoia Vittorio Amedeo I morto nel 1637, lasciando figli troppo piccoli per governare e due fratelli desiderosi di salire al trono dell’allora piccolo stato sabaudo, fu scritta una delle pagine più buie della nostra secolare storia. Quando questa reggente, figlia del Re di Francia Enrico IV, tradendo il trattato di pace di Cavour firmato quasi un secolo prima a garanzia della libertà di religione a favore dei Valdesi stanziati nelle nostre valli alpine, iniziò una campagna di sterminio verso i valdesi, molti dei quali presenti nelle valli e sui monti del pinerolese, quasi al confine della Savoia, ed in particolare in Val Pellice.
Questo periodo viene chiamato “Pasque piemontesi” in quanto le operazioni militari iniziarono il 19 aprile del 1655 e si protrassero per parecchi mesi, vista anche la strenua resistenza che la popolazione valdese riuscì ad organizzare per evitare la strage totale degli abitanti di molti villaggi come Angrogna, Luserna San Giovanni e Bricherasio. Dopo aver tentato di mettere al sicuro le donne e i bambini presso rifugi in altura, gli uomini comandati da un pastore di nome Javanel e dal suo compagno Léger, riuscirono in molte occasioni a fermare i soldati ducali comandati dal Marchese di Pianezza,Carlo Emanuele di Simiana, il vero artefice della spedizione punitiva religiosa, in quanto membro influente e ascoltato della “Propaganda Fide”, una congregazione cattolica molto attiva nel propagare tale fede con l’appoggio della “Compagnia di Gesù”. Quindi artefice di una forte pressione, anche sulla stessa corte sabauda, volta a estirpare per sempre gli eretici nel territorio. Insomma, una vera e propria decisione di eliminare i popolani di religione valdese, poiché considerati eretici, nel pinerolese e valli vicine.
Lo stesso Léger venne accusato di aver ucciso un prete nei primi mesi del 1655. Forse un pretesto per giustificare l’inizio delle operazioni militari che per mesi portarono distruzione e morte: alla fine della campagna anti valdese, secondo fonti non ufficiali i morti nella popolazione furono circa 1700; altre fonti danno per scontato un eccidio che sfiora i 7000 caduti, centinaia di bambini furono "deportati” in famiglie piemontesi di religione cattolica per un vero e proprio “lavaggio del cervello su base spirituale” e solo molti anni più avanti, alcuni di loro poterono riabbracciare i genitori o i parenti che si erano salvati dal massacro, perpetrato questo, non tanto dai soldati piemontesi che parteciparono alla spedizione, che condannarono tali azioni per iscritto tramite alcuni comandanti di reparto come il San Damiano, ma dalle milizie irlandesi che si fecero notare per la crudeltà usata in varie occasioni, con stupri e torture inenarrabili ai danni dei civili valdesi.
Il Marchese di Pianezza, che non riusciva ad aver ragione dei ribelli, cercò di spiegare ai capi comunità della valle, che tali orrori non erano opera dei soldati sabaudi, bensì delle milizie straniere e fece in modo che esse fossero distribuite quindi scaglionate nei vari villaggi per essere più controllate dai comandanti piemontesi per evitare il ripetersi di tali eccessi. I valdesi accettarono questo compromesso, ma era solo una trappola studiata a tavolino per sterminarli una volta per tutte con più facilità.
Infatti alle 4 del mattino del 24 aprile 1655, i soldati si mossero all’unisono ed iniziarono così le stragi dei valdesi ancora oggi chiamate, quasi con ironia,”Pasque piemontesi”.
Non esistono racconti personali dettagliati di chi ha vissuto quella notte ed i giorni che seguirono, tanta fu ancora per anni la paura dei valdesi di testimoniare e ricordare, con quella dovizia di particolari, necessari per capire il trauma subito dalla popolazione civile, (possiamo però affidarci a fonti manoscritte di alcuni abitanti della città protestante di Magdeburgo,quando nel maggio 1631 fu assediata e data alle fiamme da un esercito cattolico,che provocò circa 20.000 vittime su 25.000 abitanti, un triste assedio, nel contesto della “Guerra dei trent’anni”, passato alla storia come il “sacco di Magdeburgo”, che aprì la strada ed indicato la via da seguire nella persecuzione degli eretici) .
Ecco quindi,come potrei immaginare quella terribile notte con gli occhi di un testimone, da me inventato, dell’epoca: vedo apparire dalle nebbie del passato Jaques Lebrun, che così racconta la vicenda di quella notte nel piccolo villaggio valdese dove abitava con la famiglia.
«Erano passate le cinque del mattino e fummo svegliati da un gran frastuono provenire dal lato sud del villaggio, dove alcuni uomini di Léger, dalla notte precedente, erano di guardia al confine, segnato dalle prime case raggiunte dalla strada che portava a valle. Grida ed urla si alternavano a colpi di moschetto che laceravano l’aria silenziosa di quella notte di primavera, quindi presi mia moglie ed il figliolo di tre anni, e muniti solo di una bisaccia che tenevo sempre pronta con dentro un po’ di pane, uscimmo di casa cercando di avviarci verso il sentiero del Malzat per riparare in alta valle,ma vidi in lontananza che dai prati circostanti uomini armati di accetta e coltellacci, stavano cercando di prendere alle spalle il paese.Vidi alcuni di loro entrare nelle case e dar loro fuoco dopo aver fatto uscire gli abitanti: quello che vidi dopo,non potrò mai dimenticarlo! Gli uomini, in particolare i più anziani ,venivano buttati per terra e sgozzati mentre le donne venivano violentate selvaggiamentee poi uccise con le lame. Alcune di loro venivano sventrate davanti agli occhi dei loro bambini, buttati anche loro nel fango della strada e malmenati fino ad ucciderli, almeno questo trattamento era riservato ai fanciulli in età più adulta mentre per i piccoli era riservato un trattamento diverso perchè erano questi, radunati in un recinto usato per la custodia delle capre, per poi essere portati chissà dove.Vidi tutto questo da un fosso defilato rispetto le ultime case, raggiunto per miracolo quando ancora le torce degli assalitori non avevano ancora rischiarato il vicolo da cui eravamo usciti dal ricetto centrale».
Le grida e le urla dei soldati avevano qualcosa di bestiale, molti parevano ubriachi e parlavano dialetti strani, mai sentiti in valle.
Ci raggiunse una ragazzina di circa tredici anni che era stata trasferita dalla famiglia nel nostro piccolo villaggio, proveniente da Torre Pellice, spaventata e sporca di sangue, si era salvata solo perchè travolta da un compaesano ucciso con un colpo di archibugio alla testa, al limitare del paese e per puro caso o miracolo che sia, alzandosi terrorizzata passò a fianco degli assalitori, che inebriati dal Sabba in corso, non la videro e raggiunse così la campagna al limitare del paese, buttandosi nel fossato dove anche noi ci eravamo rifugiati.
Passarono minuti interminabili e prima che l’alba spuntasse cercammo di guadagnare il bosco poco distante ma terribilmente lontano in quel frangente.
Approfittammo di quell’orgia di sangue e terrore che stava avvenendo al centro del paese, dove tutta la marmaglia si era radunata, quasi in un elogio satanico del più immondo inferno, per arrivare carponi ai primi alberi della foresta distanti una manciata di trabucchi e da lì ci inerpicammo per la montagna, evitando i sentieri, cercando di non sentire le urla che ci lasciavamo dietro.
Al confronto di tali atrocità, la peste che aveva sconvolto il paese alcuni anni prima, appariva cosa di poca importanza, tanta era l’atrocità di quello che eravamo costretti ad assistere.
Riparammo dopo due settimane di cammino tra le vette di montagna nella valle Corsaglia, distante decine di miglia dalla val Chisone nella quale non tornammo mai più. Fummo ospitati da una famiglia originaria della Linguadoca francese, anche loro di fede valdese e qui ci fermammo ad iniziar una nuova vita. Alcuni giorni dopo venimmo a sapere che molte donne furono addirittura impalate e lasciate al pubblico ludibrio nelle piazze dei villaggi devastati, come monito agli eretici delle valli».
Un racconto che non lascia dubbi sulle peripezie patite in quei mesi dai valdesi.
Molti dei sopravvissuti di quei terribili giorni, ripararono in Provenza, altri si dispersero terrorizzati nei boschi e sulle alture più impervie per poi sconfinare in Svizzera e in Baviera. I pochi costretti a restare, dovettero abiurare, cioè rinunciare con pubblico giuramento, la fede protestante a favore di quella cattolica mentre molti prigionieri vennero per anni imprigionati, subendo torture di ogni tipo. Durante le operazioni militari contro i civili, alcuni soldati sabaudi contrari agli ordini ricevuti scelsero di disertare ed in particolare un comandante di uno dei quattro reggimenti impegnati nelle rappresaglie, il Signore di Petibourg, lasciò il comando delle operazioni disgustato ed a seguito di tale azione corredò con uno scritto le atrocità, di cui fu testimone oculare, commesse dagli uomini al comando del Marchese di Pianezza.
Dopo alterne vicende militari dove i valdesi si difesero grazie ad azioni di guerriglia che sfruttavano la loro perfetta conoscenza dei tratti alpini, il 6 maggio la capitale Torino fu avvertita dal Pianezza che la campagna contro gli eretici delle valli era conclusa, mentre il capo della resistenza Javanel fu costretto a riparare nel Delfinato dopo essere stato ricattato da parte dello stesso Pianezza di torturare moglie e figlie caduti in sue mani, se non si fosse arreso.
L’Inghilterra e l’Olanda protestarono vibratamente per la sorte riservata ai protestanti valdesi, mentre il Cardinale Mazzarino rifiutò le pretese della Duchessa di Savoia Maria Cristina, che non voleva che la Francia potesse dar rifugio ai sopravvissuti del massacro delle valli piemontesi.
Grazie all’interessamento ed all’appoggio di molti paesi stranieri a favore dei valdesi, non ultimo quello importantissimo di Oliviero Cromwell, che però rimase ai margini della trattativa per una pace tra i ducali e i valdesi, il 18 agosto 1655 venivano firmate a Pinerolo le “Patenti di Grazia” con le quali la Corte di Torino perdonava la ribellione armata dei valdesi, imponendo loro alcune limitazioni territoriali. Si concludevano così, mesi trascorsi nel sangue e nel terrore da parte di migliaia di umili e inermi valligiani piemontesi, colpevoli solamente di seguire la dottrina di Valdo, che come San Francesco di Assisi, si spogliò di ogni avere,per predicare la parola di Dio in piena povertà. Naturalmente sia la Chiesa di Roma che i potenti dell’epoca non accettavano tali principi, piuttosto attenti ai loro interessi e al loro tornaconto personale.
Ma questa, e anche un po’ storia di oggi.
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