Mar, 22 Ott, 2024

L’assassinio di Umberto I a Monza visto attraverso le immagini artistiche del tempo. La narrazione di Quinto Cenni

L’assassinio di Umberto I a Monza visto attraverso le immagini artistiche del tempo. La narrazione di Quinto Cenni

Si chiamava Quinto Cenni ed assieme ad Eleuterio Pogliano, Gerolamo Induno, Giovanni Fattori e Raffaele Pontremoli, ha contribuito al grande riassunto pittorico celebrativo nel periodo compreso tra le guerre per l’indipendenza italiana e la fase risorgimentale, fino ad arrivare alla presa di porta Pia nel 1870, atto che conclude l’unificazione con Roma capitale.

Tante le tele, molti i soggetti quasi tutti a carattere militare, compresa una grandiosa opera in punta di acquerello a raffigurare la ristrutturazione del regio esercito per quanto riguarda l’uniformologia, voluta dal generale Ricotti, contribuendo poi con la sua perizia ed esperienza agli affreschi presenti nella torre di San Martino della Battaglia, dove nel 1859 si svolse la terribile battaglia tra l’esercito austriaco e le avanguardie del contingente piemontese al comando del re di Sardegna, Vittorio Emanuele II, mentre a poca distanza, nei pressi del villaggio di Solferino, le colonne imperiali francesi resistevano agli attacchi furiosi comandati dal giovane Imperatore Francesco Giuseppe.

Quinto Cenni, nei giorni successivi all’assassinio di Umberto I, ritrasse i momenti più drammatici di quella sera del 29 luglio 1900, con un insieme di immagini relative ai fatti realmente avvenuti, disegnando una serie di sei opere che divennero altrettante cartoline postali, che subito vennero messe in vendita e largamente usate dalla popolazione per poter partecipare al lutto nazionale in forma privata, ma anche per testimoniare la vicinanza alla famiglia di Casa Savoia, così tragicamente colpita da questo lutto improvviso.

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Le immagini ripropongono la premiazione dei ginnasti in presenza del sovrano, l’attimo in cui Gaetano Bresci spara con la rivoltella al medesimo, la corsa in carrozza verso il vicino Palazzo Reale di Monza, la supplica della Regina Margherita rivolta al medico presente perché possa salvare il marito, il principe di Napoli che viene avvisato della morte del padre mentre incrocia le acque dello Ionio con il panfilo Jela, in compagnia della moglie Elena del Montenegro e l’arrivo a Monza dove ad accogliere il figlio c’è una disperata e piangente Regina Margherita.

Immagine 2024 10 20 092216La serie delle 6 cartoline commemorative disegnate da Quinto Cenni dopo l’attentato in cui perse la vita a soli 56 anni, il secondo re d’Italia Umberto I di Savoia

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L’opera che non era riuscita ad Acciarito e Passanante, autori dei precedenti attentati alla persona del sovrano, era invece riuscita a Bresci, che per l’occasione usò un revolver al posto dei pugnali impugnati dai due primi attentatori.

Immagine 2024 10 20 092945La “Domenica” come vede il regicidio e la tomba di Umberto al Pantheon

Analisi di un regicidio

Gli emigranti italiani che sfidarono la sorte attraversando l’Oceano Atlantico per raggiungere il miraggio di una nuova vita e che molti trovarono invece condizioni di lavoro ambientali peggiori di quanto erano abituati in Italia, non furono mai oggetto di una prima pagina di un qualsiasi giornale illustrato edito nel loro Paese. Gaetano Bresci non era però uno di questi; nato a Prato nel 1869, figlio di contadini in condizioni economiche dignitose, all’età di 15 anni entra a far parte di un circolo anarchico. Nel 1892 viene condannato a 15 giorni di carcere per oltraggio a forza pubblica, schedato come anarchico pericoloso è relegato nel 1895 a Lampedusa. Nel 1896 beneficia dell’amnistia e trova lavoro come operaio mettendo incinta una sua collega, tale Assunta Righi, sposata e madre di tre figli. Bresci per evitare i doveri di paternità scappa negli Stati Uniti, si stabilisce a Patterson il 29 gennaio 1898, lavora come operaio tessile e frequenta la comunità anarchica di emigrati italiani. Considerato un elegante donnaiolo, possiede una macchina fotografica, un lusso per l’epoca. Si lega ad una donna irlandese dalla quale ha una figlia. Saputo della repressione di Crispi nel 1894 dei fasci siciliani e della strage a Milano del generale Bava Beccaris, decide di ritornare in Italia per vendicare i morti della protesta popolare; dopo l’attentato ed il conseguente processo che lo vedrà condannato all’ergastolo, in quanto la pena di morte era stata abolita precedentemente durante il ministero di Zanardelli, muore suicida nel carcere di Ventotene il 22 maggio 1901.

Immagine 2024 10 20 093229Londra narra l’assassinio di Monza

L’attentato al Re d’Italia suscita una grande ondata di paura in quella Europa che vede sempre piu’ minacciosa l’attività dei fiorenti circoli anarchici ormai sparsi in tutto il mondo, nei luoghi in cui la miseria e la fame hanno spinto larghe fasce della popolazione a lasciare il continente.

La regina non è ancora andata a letto, sente la carrozza arrivare di corsa, vede il corpo di Umberto portato a braccia nella camera da letto, aiuta i medici accorsi al capezzale, Vercelli e Savio, slacciando il gilet uno schizzo di sangue la colpisce sul viso, comprende che il Re è morto. Non perde mai la calma, con la sua piccola corte di compagnia, con a capo la marchesa Pes di Villamarina, dà le dovute disposizioni, fa avvertire via telegrafo il figlio Vittorio Emanuele in crociera estiva sullo “Jela”.  Umberto è posto su un letto di ghiaccio ed il corpo sarà oggetto di un trattamento di imbalsamazione parziale.

Immagine 2024 10 20 094835I giornali illustrati e le cartoline continuano nel tempo a raffigurarla 

L’assassinio di Umberto I suscita in Italia un’ondata di indignazione, in particolare nelle zone del Sud dove i reali erano molto amati: in poche ore scompaiono molti pregiudizi e critiche nate sull’operato di Casa Savoia nel periodo risorgimentale, quei “piemontesi” rozzi e con poca cultura che si inventarono una penisola unita, soffocando le aspirazioni legittime di un regno delle Due Sicilie pacifico e ricco, almeno nelle casse statali, incolpati dell’aumento della povertà incrementata da nuove tasse che metteva in ginocchio una popolazione che non trovava sbocchi lavorativi per migliorare la propria condizione di vita, quindi costretta a lasciare i luoghi natii per trovar fortuna in Paesi lontani, con grande strazio e pena nel cuore.

La gente di quel “Meridione”, legata atavicamente anima e corpo alla fede cattolica ed ai rappresentanti del clero, che con la loro opera di preghiera e carità davano speranza nelle sperdute campagne, poveri preti tra poveri cristiani, nelle periferie delle città in cui la miseria spesso doveva fare i conti anche con epidemie coleriche e di tifo, non aveva perdonato ai “Savoia” il gran peccato di aver costretto il Papa con la forza a rinunciare ai vasti territori dello Stato Pontificio, relegando il Santo Padre nell’alveo mistico di quel piccolo pezzo di terra romana che da secoli custodiva la Basilica di San Pietro: “libero Stato in libera Chiesa” il motto di quell’odiato Cavour che fin dal 1850 tramava contro la proprietà ecclesiastica in Piemonte, forte di quelle “Leggi Siccardi” che costrinsero il clero torinese ad un ridimensionamento territoriale e di preghiera, spasmodicamente contrastato dal Vescovo Franzoni che portò la protesta fino al letto di morte del deputato Santarosa, rifiutandogli l’estrema unzione.

Quella notte del 29 luglio 1900, gli italiani presero coscienza per la prima volta, che l’unità italiana era messa in pericolo ed accorse emotivamente ad accompagnare nel dolore quella famiglia reale tutta piemontese che, solo allora ci si rese conto, non rappresentava solamente una centenaria dinastia, ma una intera Nazione che, seppur tra mille difficoltà, stava cercando una propria identità nel seno di quei territori così tanto diversi nella lingua, nella cultura, nella fede, nelle tradizioni e nel modo di pensare la vita. Quella stessa notte, saputa la notizia, molte tipografie e case editrici si misero subito all’opera per cercare di riportare graficamente l’accaduto sui giornali, sulle riviste ed in particolar modo usufruirono a mani basse, di quell’invenzione postale, nata solo quattro anni prima in Italia con le nozze di Vittorio Emanuele ed Elena, relativa all’introduzione delle figure impresse sulle cartoline postali: il risultato fu la pubblicazione di centinaia di cartoline illustrate che in breve tempo invasero il territorio del Regno, arrivando fino ai confini più lontani del mondo, in quelle lande sconosciute dove migliaia di italiani erano emigrati e dovevano quindi, essere avvisati della grave notizia dell’assassinio del loro Re.

Immagine 2024 10 20 095653Le cartoline stampate la notte dell'omicidio

Le prime cartoline stampate quella stessa notte, ritraggono il Re secondo il profilo istituzionale che si poteva trovare inquadrato nei pubblici uffici, nelle scuole ed in tutte le sedi autorizzate ad esporre il suo ritratto. Il Re è sempre raffigurato in divisa da generale e con tutte le decorazioni e simboli di Casa Savoia, come il collare dell’Annunziata pendente sul petto e le medaglie delle guerre per l’Indipendenza italiane e le campagne risorgimentali. La moda dei “baffi all’umbertina” si evidenzia in queste figure, dove il sovrano con orgoglio sfoggia il taglio da lui preferito, anche se poco praticato dai ceti medio\bassi della popolazione, in quanto l’ampiezza ai lati della barba era, spesso e volentieri, di impedimento per lavori manuali, non consentendo quindi comodi movimenti. Diffusa invece la moda tra la nascente borghesia industriale ed in ambienti impiegatizi.

Si alternano le prime immagini dove la vittima reale viene descritta anche in abiti civili con “cilindro e redingote”, che nessun Savoia ha mai amato, a partire da Vittorio Emanuele II che diventava di carattere nervoso, ogni qualvolta era obbligato dalle circostanze a rinunciare alla sua divisa militare, con tanto di elmo piumato e sciabola: stesso discorso per il figlio Umberto. 

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Particolare la quarta cartolina da destra, dove l’artista cattura l’immagine dell’arrivo di Vittorio Emanuele nella camera dove è stata composta la salma del padre con accanto la madre Margherita: dall’altro lato del capezzale il Duca d’Aosta Emanuele Filiberto, anche lui in divisa militare.

Cartoline illustrate in occasione della morte del Re d’Italia sono edite anche  in Germanie ed in Austria che vedevano così scomparire la figura che più volle, assieme al conte Di Robilant, entrare a far parte della “Triplice Alleanza“ ; rinnovata più volte nel tempo, questa alleanza con gli “Imperi Centrali”, contribuì a mantenere la pace in Europa per quasi 40 anni, il periodo più lungo senza conflitti nel continente, che si riaccesero nel 1914.

Per molto tempo le cartoline che ricordano il grave momento di lutto nazionale, continueranno ad essere inviate tra le famiglie italiane, in particolare all’estero dove, pur tra visioni contrastanti che circondavano l’alone di popolarità della monarchia sabauda, rimaneva il dolore per un gesto che minava l’esistenza e le pretese di un intero popolo che si univa con animo compatto per la prima volta nella sua breve storia unitaria.
Il dolore della Regina Margherita appare sia nelle immagini che la ritraggono in abito nero, sia nelle cartoline dove appare la sua preghiera protesta, raccogliendo l’antico rito dedicato a San Carlo Borromeo di rivolgere agli angeli protettori una protesta della propria fede cristiana e cattolica in punto di morte, avvenuta nel lontano 1584: un omaggio alla memoria del marito, ma anche alla Chiesa tutta, visto che i rapporti diplomatici con la Santa Sede ed il governo italiano erano interrotti dal tempo della presa di Porta Pia del 1870 e mai più ripresi, citava quindi il Beato Borromeo, in onore del quale vedendo le sue precarie condizioni di salute e l’impossibilità del medesimo di recarsi a Chambery a venerare il sacro telo, l’allora Duca di Savoia Emanuele Filiberto “Testa di Ferro”, la fece giungere a Torino nel 1572 e da allora custodita nel Duomo della capitale ducale, a fianco e collegato al Palazzo Reale abitato dai regnanti la dinastia, fino al 1865, allorchè la capitale del Regno d’Italia viene trasferita a Firenze. Margherita voleva perorare il legame tra Casa Savoia e la Chiesa.

Foto di copertina: Di Achille Beltrame - Beltrame, Achille (5 August 1900)

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