Ven, 18 Ott, 2024

L’informazione attraverso le riviste illustrate nel 1800. Parole ed immagini per raccontare avvenimenti, personaggi e mode

L’informazione attraverso le riviste illustrate nel 1800. Parole ed immagini per raccontare avvenimenti, personaggi e mode

Non sempre la grande storia è stata presente nella quotidianità dell’opinione pubblica, in particolare nei secoli addietro, quando la quasi totalità delle persone non sapeva leggere e scrivere, non esistevano mezzi di comunicazione sufficienti per avvisare, descrivere, informare tutti coloro che nulla sapevano quello che succedeva all’infuori del proprio territorio, dei loro centri abitati, addirittura del focolare delle abitazioni in cui passavano gran parte della loro povera esistenza. 

Non esisteva neppure una precisa volontà di mettere al corrente le popolazioni di quanto succedeva intorno al piccolo mondo in cui ogni essere umano consumava la propria vita, in quanto l’autorità dominante, quasi tutta prevalentemente ad indirizzo monarchico, quando non ecclesiastico, aveva necessità di non divulgare nulla sulle strategie politiche, dei metodi di governo, in quanto quest’ultimo aveva il potere di modificare in brevissimo tempo, le condizioni sociali, economiche e morali, attraverso operazioni quasi sempre di carattere militare, tali da poter sconvolgere l’assetto e la struttura di qualsiasi società ad iniziare dall’aspetto psicologico.
In poche parole il contadino, il droghiere, il bracciante, il falegname e tutti coloro che condividevano le vicissitudini dello strato sociale medio\basso, meno conoscevano delle realtà che circondavano da lontano le loro vite e meglio avrebbero combattuto in caso di necessità, servendo senza fare troppe domande il sovrano di turno, che in soldoni, per quanto riguarda l’Italia ed in particolare il Piemonte, significava quasi ogni anno ritrovarsi nel bel mezzo di una guerra. Una volta domandai al generale Guido Amoretti, scopritore della galleria ove morì nell’agosto del 1706 il minatore Pietro Micca e dal 1961 primo direttore del museo dedicato all’eroe di Andorno, come definiva il tipico suddito sabaudo, mi rispose convintamente «un contadino perennemente in armi».

Dobbiamo tener conto che questo tipo di società ed il modo usato per non informarla degli avvenimenti che si susseguivano attorno ad essa, perdurò per secoli, e resistette anche durante il periodo risorgimentale. La tanto decantata Unità d’Italia, fu progettata e voluta da una classe borghese e militare, un progetto di nicchia, all’infuori del quale, poche persone potevano dire di essere veramente consapevoli della portata dell’operazione: se all’alba della spedizione dei famosi e per certi versi, scalcagnati Mille, partiti da Quarto e sbarcati a Marsala agli ordini di Garibaldi, qualcuno avesse chiesto ad un pastore sardo, ad un contadino veneto ed a un boscaiolo valdostano cosa pensavano dell’idea di potersi trovare l’anno dopo in un solo grande stato tricolore, di sicuro non avrebbero avuto una risposta comune in quanto nessuno di loro era informato della cosa: sappiamo invece benissimo cosa pensavano le genti nel Regno delle Due Sicilie.

Secoli di guerre, carestie, rivoluzioni ed epidemie mortali oggi si possono raccontare tramite gli archivi pubblici e privati conservati nel tempo, ma per centinaia di anni, la gente comune ignorava totalmente cosa succedeva all’infuori del loro piccolo spazio vitale; per quanto riguarda la nostra penisola, ed in particolare gli stati dell’Italia del nord interessati dalle vicende storiche legate al periodo risorgimentale, e solo a partire dal 1848 con la prima guerra d’Indipendenza, si ebbe modo di coinvolgere ampi strati di società civile, nell’informare sommariamente delle operazioni militari iniziate da Carlo Alberto e proseguite dal figlio Vittorio Emanuele II, ma con lo scopo primario legato ad una precisa forma di propaganda atta a descrivere l’Austria come il nemico principale da sconfiggere, tralasciando però le vicende ed i fatti bellici in un limbo di aulica enfasi, evitando di citare le tragedie dei morti, delle distruzioni e delle sofferenze che queste portavano sui nostri territori, evitando di menzionare tutto ciò che poteva turbare le coscienze di popolazioni già duramente provate dalla loro stessa condizione esistenziale In quegli anni, paradossalmente, divennero poi famosi perché molto divulgati, i canti patriottici, gli inni nazionali e le sinfonie composte dai grandi maestri su spartiti musicali che iniziarono a circolare nei salotti privati degli intellettuali siti nelle città, ovvero in quei grandi centri urbani dove si stava formando “L’intellighenzia attiva” , quella nascente enclave di uomini e donne, appartenenti all’alta borghesia ed a quelle nobili maestranze della pubblica regia amministrazione che rappresentavano la spina dorsale del movimento risorgimentale.

Fu questo il periodo in cui nacque la necessità di affiancare le notizie rese dal potere costituito, da una base di informazione che partiva dai nascenti giornali quotidiani, fino ad arrivare alle prime riviste illustrate, per espandersi sempre più rapidamente nei vari livelli sociali, dove si cercava di far breccia in una opinione pubblica variegata, con pubblicazioni settoriali che spaziavano dalla satira al teatro, dalla moda alla specifica cultura di massa, che vedeva la luce proprio in quel periodo.

Nei piccoli ma perspicaci salotti della vecchia aristocrazia piemontese, ad esempio, tra un bicchierino di rosolio ed un pasticcino all’anice, si potevano sfogliare la “Gazzetta Piemontese” ed il decano europeo delle riviste illustrate, quel compassato ma fantastico settimanale inglese dal titolo "The Illustrated London News” nato nel 1842, dove a colpire l’imaginazione erano le grandi tavole in bianco e nero disegnate dai più valenti artisti britannici.

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“L’Illustration Journal Universelle” parigino apparso nelle edicole nel 1843, era la risposta transalpina alla intraprendenza editoriale che stava nascendo in Inghilterra, quella che diverrà per loro la “Perfida Albione”, ossia il mezzo di propaganda letteraria illustrata che vivrà fino alla fine della seconda guerra mondiale e rimarrà nella storia dell’editoria informativa di stampo giornalistico, un grande esempio di come il connubio tra immagine e scrittura, possono avere il potere di influenzare milioni di persone, come lo furono molti altri progetti editoriali, come “Le Monde Illustrè” .

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Il Parlamento Sardo la II° guerra d’Indipendenza In quegli stessi salotti, che furono veri e propri laboratori di socialità in cui intellettuali, giornalisti, poeti, scrittori, musici e militari si confrontavano con la nascente classe industriale, la vecchia nobiltà terriera e le classi dirigenti cittadine legate alla Corona, nasceva l’idea di una unità allargata ma non troppo, quasi una timida prova generale di convivenza tra soggetti profondamente diversi per vita, abitudini, lignaggio,
consuetudini che mai prima di allora si erano incontrate. 

A cavallo della prima Guerra d’Indipendenza italiana, nel 1848 nasce a Torino uno splendido progetto grafico tendente ad assumere un carattere satirico, fortemente anticlericale, molto vicino al conte Camillo Benso di Cavour, quindi per certi aspetti delicato, per i temi trattati in quel frangente, ma dotato di un’autoironia che miscelata sapientemente ad una satira intelligente, fa sì che “Il Fischietto”, così si chiamava la pubblicazione settimanale, incontrasse il favore di ampie categorie di diverse classi sociali, tali da avere il conforto del plauso di quella classe politica, che tanto era citata ed a volte sbeffeggiata attraverso le caricature di artisti torinesi di indubbia fama, primo fra tutti il celebre vignettista Casimiro Teja, non certamente secondo al bravo Redenti.

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Quando nella primavera del 1861, improvvisamente, dopo una brevissima condizione di infermità, muore il conte Benso di Cavour, “Il Fischetto” dedica gran parte delle illustrazioni dell’intera annata alla figura dello statista piemontese, con ampi articoli ed ancor più importanti raffigurazioni di spiccata impronta satirica dedicati all’uomo che fu il vero protagonista della rinascita del Piemonte dopo la sconfitta di Novara del marzo 1849 e la conseguente unificazione italiana, portando al trono Vittorio Emanuele II il 17 marzo 1861, lo stesso giorno in cui Torino diviene la prima Capitale del nuovo Regno; la rappresentazione delle caricature di Cavour in un momento di dolore umano e comprensibile confusione di quell’universo politico che si trova orfano del vincitore della causa italiana, sulla linea del traguardo, ha qualcosa di drammatico che viene evidenziato nelle matite che si alternano a sublimare con ironia un paffutello Cavour, quasi per nascondere lo sconforto, l’amarezza e la destabilizzazione di un progetto unitario che, orfano dell’ideatore e promotore, rischia di essere preda di inevitabili errori di una classe politica per molti versi ancora imberbe, litigiosa, quindi non ancora preparata ad affrontare un misterioso domani, orfana del suo capo e mentore che risulterà insostituibile, sotto ogni punto di vista.

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Le dame della Torino\bene di allora, iniziarono a collezionare ed a rilegare le riviste di moda francese che arrivavano tramite le corriere a cavallo che raggiungevano la capitale del regno di Sardegna, affrontando viaggi da incubo, attraversando le tortuose strade dell’alta Savoia dopo essere state provviste delle copie de “Musee de familles”, “Petite courier des dames”, “La Mode Illustrè”, e le tante pubblicazioni citate come “Collectif ” di indirizzo domestico, che riportavano anche le notizie riguardanti le tendenze della società d’oltralpe, da sempre vista come guida culturale della vecchia Europa ed in particolare dall’aristocrazia torinese, che si affidava invece ai consigli della rivista nostrana Il tesoro delle famiglie”.

Torino è però fucina di pubblicazioni culturali che iniziano a far capolino nei salotti buoni, dove gli studenti universitari della capitale sarda si introducono per portare una ventata di rinnovamento e idee, vogliosi di lasciarsi alle spalle i giorni bui delle rivolte scoppiate nell’Ateneo subalpino al seguito dei moti del 1821, represse in modo deciso dal Thaon di Revel su disposizione del Re Carlo Felice; quando l’ultimo discendente in linea diretta di Umberto Biancamano muore ed il testimone passa al nipote poco amato, Carlo Alberto del ramo di Carignano, le nuove generazioni riprendono fiducia sperando in un decorso storico che possa far dimenticare quella “Restaurazione” tentata dalle vecchie monarchie europee per far dimenticare la ventata di liberta’ portata dalla rivoluzione francese. Sull’onda di questo rinnovato vigore, forte del fatto che in ogni parte d’Europa, tutto sarebbe cambiato, e lo si vedrà nella dirompente forza sociale nei rinnovati moti del 1848, proprio a Torino nascono alcuni progetti letterari, che uniscono molte materie, atte a divenire un punto di riferimento storico, culturale e scientifico per l’intera comunità: è il caso della rivista dal nome ”Museo artistico, letterario e scientifico” stampato a Torino a partire dagli anni “30 del XIX° sec, fino ad arrivare al 1866 alla “Settimana illustrata” .

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Il periodo umbertino segnerà un momento di grande vivacità per Torino, anche se la capitale prima spostata a Firenze nel 1865, poi a Roma dopo la ”Presa di Porta Pia“ il 20 settembre del 1870, non avrà il conforto della ”supremazia amministrativa e burocratica”, ma la nascente industria meccanica e manifatturiera, ne prendeva il posto, rilanciando economicamente quel Piemonte che tanto aveva dato alla causa dell’Indipendenza e dell’Unità della penisola.

I circoli letterari non sono più ritrovi tra esuli e dissidenti provenienti dagli Stati preunitari , che trovavano rifugio per scappare dalla forca austriaca o dalle morse ataviche di un secolare immobilismo dei Regni di Pio IX e di Ferdinando di Borbone, ove ogni riforma sociale era impossibile da pensare, ma seguono la strada tracciata dalle nuove generazioni di imprenditori, non più legati al latifondismo agrario o di rendita fissa detassata della “decima” a favore delle classi più agiate, ma con animo rivolto a seguire ed applicare le invenzioni , le scoperte, le innovazioni che applicate alle botteghe diventate fabbriche, facilitano l’espandersi degli istituti scolastici, delle accademie e di conseguenza anche dell’informazione giornalistica popolare. La “Società di Belle Arti” di Torino, pubblica annualmente in concomitanza delle “esposizioni” artistiche, cataloghi di assoluta bellezza ed eleganza, che riportano le immagini a colori delle opere e notizie dettagliate sugli autori.

Inoltre nel 1884, in occasione della “Esposizione Italiana di Torino”, la società editrice fratelli Treves di Milano, pubblica una serie di inserti illustrati, raccolti alla fine in un unico volume, dove si dà ragguaglio di tutto quanto era stato fatto dal comitato promotore e di tutti i padiglioni presenti all’interno di questa grande manifestazione, seguendo l’esempio delle grandi esposizioni internazionali di Parigi ed al “Cristal Palace” di Londra.

L’Italia unita avrebbe risposto nel tempo con il settimanale “L’Illustrazione Italiana”, opera uscita nel 1873, seguita a partire dal 1890 con le prime copertine a colori che apparvero sulla “Tribuna Illustrata della Domenica“, che convinsero molti editori ad iniziare a pensare, oltre al semplice quotidiano spoglio di immagini, di formare delle testate editoriali, dove la parola fosse accompagnata dall’immagine, meglio ovviamente se a colori, per dare più il senso della realtà e carpire la totale attenzione del lettore, non abituato a leggere attraverso le immagini.

Molti storici della carta stampata, pensano erroneamente che la famosissima “Domenica del Corriere”, nata nel 1899 da una idea del direttore Luigi Albertini e magistralmente illustrata, nelle copertine di apertura e chiusura, dall’artista Achille Beltrame, sia stata elaborata a somiglianza della “Tribuna Illustrata “, ma se invece si sfogliano le pagine della rivista parigina “Le Petit Journal” nata nel 1863 come settimanale nella forma classica in “foglio” con disegni in bianco e nero, poi a colori a partire dal 1884, si notano molte similitudini, in particolare nella “sensibilità “ di tradurre pittoricamente le vicende, ricche di spunti ed altamente apprezzata sotto il profilo artistico ed umano, di altissima qualità artistica. “Le Petite Parisien”, altro “monumento editoriale” nato nel 1876 sarà anch’esso un punto di riferimento molto importante per gli editori europei di fine '800, seguendo la moda delle copertine a colori apparse verso fine secolo sui giornali illustrati francesi.

Si noterà in seguito che sia l’editore Albertini che lo stesso illustratore vicentino di origine, Beltrame, tratteggeranno sia il modo di scrivere, sia il modo di raccontare attraverso i pennelli, la grafica inerente le notizie, in modo del tutto simile all’impostazione data dai giornali francesi, facendo nascere in Italia un nuovo modo di dispensare informazione, in un periodo in cui non esisteva altro se non il classico giornale di poche pagine e nessuna figura, restituendo al mondo intero il piacere di sedersi ad un tavolo o scrivania e leggere gli avvenimenti sfogliando la rivista con le copertine fronte retro a colori; emozioni giornalistiche tinte dei colori di artisti che rischiavano di surclassare la semplice vecchia carta infarcita da sillabe tinte nel nero inchiostro, freddi brogliacci della quotidianità del tempo. Se pensiamo che “Le Petit Journal”, in occasione dell’esposizione Internazionale di Parigi del 1900, viaggiava ad una media di un milione di copie settimanali, con le copertine a colori raffiguranti i padiglioni espositivi delle diverse Nazioni invitate a partecipare e addirittura superato dal Petit Parisien durante la prima Guerra mondiale che raggiunse l’incredibile tiratura di 2,300,000 copie, sapendo che la percentuale di alfabetizzazione in Francia era leggermente maggiore che nel resto d’Europa e si attestava circa al 83 %, mentre l’Italia, da poco unificata territorialmente, presentava profonde lacune culturali, quindi anche da noi il risultato delle vendite poteva essere considerato un successo di straordinaria portata, anche se molto lontano nei numeri, raggiunti dai cugini d’oltralpe.

Era nato un sistema di informazione che attraverso le immagini comunicava le notizie anche ad una larga fetta di popolazione analfabeta che, grazie alla sensibilità ed abilità artistica del disegnatore, non si sentiva penalizzata ma invogliata, “leggendo” le scene disegnate sulle copertine, ad acquistare queste particolari pubblicazioni dallo “strillone” di turno o di affacciarsi timidamente alle prime edicole di città.

Parallelamente alla carta stampata, in Europa, già a partire dalla grande invenzione di Sir Rowland Hill, che in Inghilterra nel 1840 introdusse il primo francobollo al mondo, il famoso “Penny Blak” rivoluzionando ed uniformando il settore postale , e che ben presto verrà introdotto in pochi anni in tutte le amministrazioni postali, colonie comprese, si pensa anche di migliorare la figura della carta da lettera, cercando di renderla più attraente, percorrendo la falsariga usata per l’introduzione del soggetto artistico sulle riviste illustrate, dotando quindi il “messaggio scritto”, di disegni, figure, stampe, fino ad arrivare all’uso delle albumine fotografiche dopo l’invenzione delle stesse, a partire dalla fine del XIX° secolo: nasce la cartolina postale.

Credits: https://www.fondazionecorriere.corriere.it/la-milano-della-domenica/

 

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