Per ricordare suo padre Matteo e Beppe Borello, cui è intitolata la sede delle Penne Nere borgaresi
Ci sono viaggi che si fanno per turismo e per divertimento ed altri sul percorso della storia e della memoria. E' questo il caso di Giuseppe, Beppe, Marabotto, alpino del Gruppo di Borgaro,
Questo è il racconto ricco di emozioni e suggestioni che ha voluto regalarci e che noi doniamo ai nostri lettori.
«Arrivati a Durazzo, sbarcammo e subito partimmo in direzione di Elbassan e Berat...». Così scrive, nel suo diario mio padre Matteo, alpino della Cuneense inviato in Albania nell'autunno del 1940 per "spezzare le reni alla Grecia", dove percorse a piedi 100 km con il reparto salmerie diretto alle montagne che separavano l'Albania dalla Grecia. La stagione si rivelava fredda le piovosa e le sistemazioni in tenda erano quanto mai difficoltose. In linea si trovava già suo fratello, artigliere alpino del Gruppo Mondovì, attestato sulle pendici del monte Tomori nel nord est del paese. I giorni si susseguirono freddi fangosi fino alla fine dell'anno. La notte di Natale del 1940 al rientro di una consegna di viveri e materiali alla prima linea sul Monte Brich Vi Mat - che non sono più riuscito a trovare su Google Maps - la sua mula "Scalina" affondó nel fango e nel tentare di farla uscire perse il contatto coi compagni e smarrì la strada del ritorno. Quando rientró al mattino del giorno di Natale rischiò di essere considerato disertore. Con dei compagni ed un robusto mulo ritornó alla ricerca di Scalina, la trovarono ancora affossata nel fango e riuscirono a tirarla fuori sana e salva.
Erano anni che volevo vedere questi luoghi, ed ho ripercorso le stesse strade e visto alcuni paesi citati nel diario. La geografia in 80 anni é cambiata con case nuove e strade asfaltate, ma non più di tanto. L'Albania è ancora un paese agricolo e povero considerato che ci son stati oltre quarant'anni di feroce dittatura comunista che non hanno favorito uno sviluppo ed un cambiamento.
Scendendo verso sud sono arrivato a Tepelene, una piccola cittadina sul fiume Vojussa, dove esistono ancora resti di casermette italiane e si ha una bella vista sul fiume e sul Monte Golico "il calvario degli alpini". Qui c'é stato Beppe Borello di Borgaro, alpino del battaglione Susa, Medaglia d'argento al valor militare, che cadde sulle pietraie del Golico il 28 febbraio del 1941.
Dopo aver attraversato il Ponte Dragoti teatro di combattimenti e luogo di transito degli alpini in quel freddo periodo, ho risalito per circa settanta chilometri la Vojussa, un fiume che per vastità e larghezza assomiglia molto al Tagliamento, che le note del canto degli alpini dicono che "...col sangue degli alpini s'é fatta rossa".
Un'ora e mezza di macchina percorsa in mezzo agli ulivi con nel cuore un senso di tristezza ed inquietudine. Unica fermata per raccogliere un ramo di ulivo. Non facile da trovare, per mancanza di indicazioni, il ponte di Perati immerso nella vegetazione che Google Maps indica come "Resti del ponte di Perati" che in quel punto separa l'Albania dalla Grecia.
Mi sono avvicinato con un groppo in gola a quella spalletta del ponte. Un silenzio solo rotto dallo scorrere dell'acqua e dal fruscio dell'aria tra i cespugli. Mi sono reso conto che ci sono posti "dove il silenzio fa rumore". Al groppo in gola é subentrata la consapevolezza della necessità di ricordare. Non basta leggere libri e nozioni storiche per ricordare, nei posti bisogna andare, vedere e "sentire" per vivere questa consapevolezza appieno.
Il mio pensiero é andato a tutti gli alpini caduti, a mio padre che dall'Albania é tornato per essere poi mandato con la sua mula in Russia, dove essa é rimasta e lui ha pestato neve e ghiaccio attraversando l'Ucraina durante la ritirata.
Un altro pensiero é stato per Beppe Borello, alpino borgarese cui è intitolata la sede cittadina, che ora riposa a Bari al Sacrario dei Caduti d'Oltremare.
Dal ponte di Perati, in rappresentanza del Gruppo Alpini di Borgaro, ho lasciato cadere nel fiume il ramo di ulivo in ricordo e come segno di pace.